Francesco ha autorizzato un’indagine sul coro della Cappella Sistina, la “schola cantorum” preposta all’ accompagnamento polifonico delle liturgie presiedute dal Papa. Aldilà dell’inchiesta della magistratura vaticana sulle questioni finanziarie, da molti anni la celebre e ambitissima istituzione vaticana è teatro di forti rivalità tra diverse scuole di musica sacra. Attorno ai destini del coro più famoso del mondo si sono consumate, dal Concilio in poi, forti contrapposizioni tra esponenti di differenti filoni ecclesiastici per poter determinare gli orientamenti della musica liturgica su scala mondiale. Da un lato c’è chi vorrebbe fare della Sistina il terreno per la rivincita del tradizionalismo. Dall’altro ci sono gli interpreti più creativi della riforma conciliare. 

 

Agli aspetti economici del controllo dei diritti d’autore si affiancano, perciò, le dispute sull’opportunità o meno di fare confluire la modernità nella polifonia rinascimentale e nel gregoriano. «Vedremo cosa emergerà dall’indagine finanziaria sul coro, la prima inchiesta di questo genere disposta da un Pontefice su un’istituzione da tempo molto discussa -afferma a Vatican Insider la professoressa Marinella Perroni, teologa del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Quello che è già evidente è il fallimento della Sistina nell’applicare il dettato conciliare di coinvolgere l’assemblea nella liturgia. Se chi canta prega due volte, chi stona alla Messa stona due volte. Intendo dire che il coro è diventato più che altro il palco per regolare tensioni teologiche e di potere interne alla cultura d’élite delle gerarchie ecclesiastiche, in totale violazione della propria missione e cioè quella di insegnare ai cattolici a cantare insieme». E così, prosegue la teologa, «gli innari nelle comunità evangeliche vengono eseguiti da tutti i fedeli che prendono parte al rito mentre da decenni alle cerimonie nella basilica di San Pietro si assiste alle dotte esecuzioni del coro come se si partecipasse ad un concerto a teatro», quindi, «invece di coinvolgere l’assemblea si delega la liturgia musicale al maestro di cappella e ad una “schola cantorum” professionale».

 

Dietro tutto ciò affiorano «le campagne estetiche su quale direzione prendere nell’accompagnamento delle cerimonie pontificie sulle orme di protagonismi e personalismi di musicisti in lotta tra loro per gli incarichi in Vaticano e di scontri ideologici che non tengono conto della necessaria partecipazione assembleare e della finalità pedagogica di educare i fedeli a cantare in coro». Al contrario della Sistina, per esempio, «la comunità monastica di Montserrat dentro coordinate culturali ed ecclesiali di coinvolgimento dell’assemblea del tutto assenti nelle esibizioni del Coro vaticano, molto attento piuttosto alle tournée all’estero e alla definizione elitaria del proprio repertorio». 

 

Un «fallimento culturale e di missione», osserva Marinella Perroni, che «accanto alle giuste verifiche sulla correttezza finanziaria, deve portare la Santa Sede ad interrogarsi sulla reale utilità di questa istituzione a fronte anche di costi di gestione elevati e sull’opportunità di continuare a delegare la liturgia musicale delle cerimonie pontificie ad un’entità professionistica che nega di fatto un reale coinvolgimento dell’assemblea, come richiesto dal Concilio Vaticano II». A contrapporsi sono da cinquant’anni i fautori della riproposizione di spartiti rigorosamente agganciati al secolare patrimonio musicale in latino della Chiesa e i sostenitori delle innovazioni artistiche in lingua volgare man mano elaborate a partire dagli anni 60. 

 

A seconda di quale direzione prenda la nomina del maestro della Sistina, si comprende quale orientamento liturgico prevalga in quella determinata fase storica in Vaticano. Alla Cappella, infatti, rivolgono poi lo sguardo i cori di tutto il mondo come modello. Una differenza di impostazione che nel corso degli anni ha trovato plastica rappresentazione anche nella diversa idea di accompagnamento liturgico delle cerimonie pontificie che ha polarizzato le gerarchie ecclesiastiche. In preparazione dell’Anno Santo del 2000, per esempio, nel corso di una serie di incontri culturali organizzati alla residenza universitaria romana Villa Nazareth dal suo presidente, il cardinale Achille Silvestrini, due personalità di primo piano del sacro collegio come gli allora arcivescovi di Milano, Carlo Maria Martini e di Bologna, Giacomo Biffi espressero valutazioni molto distanti sull’opportunità di restare più o meno legati alla tradizione musicale in occasione delle solenni celebrazioni giubilari, con Martini favorevole ad aprire al nuovo e Biffi fermamente convito dell’opportunità che la Cappella Sistina restasse ancorata a quella che per cinque secoli è stata la sua storia. 

 

Nel 2010, inoltre, fu interpretata come una decisione presa dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone quella di assegnare al suo confratello salesiano don Massimo Palombella (docente al conservatorio «Cantelli e responsabile del coro delle università di Roma) la direzione della Cappella Sistina, in sostituzione di monsignor Giuseppe Liberto, sullo sfondo del braccio di ferro tra i «creativi» e i «tradizionalisti», sostenuti dai «teocon» che della polifonia rinascimentale e del canto gregoriano avevano fatto una bandiera ideologica.

 

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