È stato un Salvini scatenato, quello che ieri s’è mosso sul palcoscenico di Vienna. Ha litigato con il collega lussemburghese e il maltese. Ha intavolato trattative con il tunisino. Ha fatto in tempo a ostentare l’unità d’intenti con gli austriaci. Ha snobbato il tedesco. In effetti, la copertina di «Time» è meritata: appare sempre più come l’uomo con la missione di «smontare» l’Europa come la conoscevamo finora. Anche nelle forme: gli altri 27 ministri sono rimasti stupefatti perché uno dello staff di Salvini ha filmato un incontro a porte chiuse, con garanzia che fosse lì solo per documentare il suo intervento, e poi il video è finito su Facebook.
Mentre gli arrivavano notizie dell’ultimo sbarco multiplo a Lampedusa - 184 tunisini arrivati all'alba a bordo di sette barchini velocissimi, e un ottavo non ce l’ha fatta solo perché è finito prima il carburante - Salvini in effetti si è lanciato in un discorso fiammeggiante, più da comizio elettorale che da consesso tra ministri dell’Interno. «Non abbiamo l’esigenza di avere nuovi schiavi per soppiantare i figli che non facciamo più», ha detto a un certo punto. E il ministro lussemburghese Asselborn è sbottato: «In Lussemburgo, caro signore, avevamo migliaia di italiani che sono venuti a lavorare da noi, dei migranti, affinché voi in Italia poteste dare da mangiare ai vostri figli». Concludendo con un sonante «merde alors», traducibile in «diamine».
La «soluzione»
Ma al di là delle liti, è lo sbarco a Lampedusa che ha conquistato la giornata del ministro. «Ora che abbiamo chiuso la rotta libica, si sta aprendo quella tunisina», il suo commento. E siccome è scontato che stavolta nessuno in Europa si prenderà nessuno dei nuovi arrivi, l’unica soluzione che Salvini vede è di rimandarli indietro al più presto. Subito, nel giro di pochi giorni se non di poche ore. Il suo ideale sarebbe di organizzare un paio di voli charter e riportarli indietro tutti e 184, per lanciare il segnale a chi organizza questi traffici.
Di questo ha parlato con il ministro tunisino, di questo si parlerà martedì in una riunione al Viminale fissata lì per lì: l’idea del ministro è che siccome l’accordo di riammissione con la Tunisia è l’unico che funziona, occorre implementarlo.
«Se ne vanno tra qualche ora», la sua promessa. E siccome è materialmente impossibile impedire a questi barchini di arrivare a Lampedusa, quando dice che vuole «soluzioni innovative, rapide ed efficaci», pensa appunto a un canale di uscita dall’Italia facile quanto quello di entrata. «Con la Tunisia - dice - posso e voglio provare a risolvere problemi direttamente, anche senza intermediazione dell’Ue».
La condanna di Strasburgo
Ci sarebbe in effetti un «problemino» giuridico notevole, e cioè che l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per un rimpatrio in Tunisia che volle il ministro Bobo Maroni. Ma lui tira dritto: «In Tunisia non c’è uno stato di guerra, bande, bombardamenti, tribù, carestie e pestilenze... Non si capisce perché non si possano riaccompagnare tutte le persone che partono scientemente da quel Paese. Fatto salvo che in Libia ci sono i problemi che ben sappiamo, altri Paesi sono evidentemente sicuri».
Resta un po’ di spazio, comunque, per rinfocolare anche la polemica con Malta. L’altra notte, il movimento dei barchini tunisini era stato individuato molto per tempo. Tutto lascia pensare all’utilizzo di sistemi di osservazione militare. Le sale operative italiane hanno allertato Malta, chiedendo di intervenire e bloccarli. La risposta, a stretto giro, è stata che le leggi internazionali non lo permettono. Fermare i barchini sarebbe stato un atto di pirateria da parte di Malta. Ma questa risposta, figurarsi, ha irritato oltremodo Salvini: «Un Paese dell’Unione si sta altamente fregando dei suoi doveri. E ogni riferimento a Malta è puramente casuale. Alla faccia della solidarietà e dei Trattati internazionali».