Il tridente, che poteva contare sul sostegno economico del governo, non c’è più. C’è un tandem, che correrà per organizzare le Olimpiadi invernali del 2026 ma dovrà cavarsela da sé, pagare tutto di tasca propria. Forse. Milano e Cortina sono dentro, entrambe incassano quel che volevano: il ruolo da capofila e architrave della candidatura italiana per Milano; una vetrina che garantisce ricadute economiche e di marketing per le Dolomiti. Torino è fuori. Sconta una somma di debolezze: un sistema territoriale apparso gracile e diviso (vedi le tribolazioni tra la sindaca Appendino e la sua maggioranza), l’essersi irrigidita a inizio anno quando poteva invece accasarsi con Milano e farle da spalla, la lezione di tattica inflitta dalla Lega al Movimento 5 Stelle, e infine una certa tendenza del governo «carioca» a snobbare il Piemonte in favore del Nord-Est.

Il patto lombardo-veneto

L’epilogo prende forma alle due del pomeriggio e sembra costruito ad arte. Troppo perfetto per non essere stato pensato con un po’ di anticipo. Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario che tiene le redini del governo e ha lavorato al dossier olimpico negli ultimi mesi, annuncia il funerale della candidatura a tre: «Non ha il sostegno del governo ed è quindi morta qui». Di fatto addossa la croce ai sindaci: «Servivano condivisione, spirito ed entusiasmo che onestamente non ho rintracciato». Un attimo dopo i governatori leghisti di Lombardia e Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia, si fanno avanti: noi ci siamo, annunciano proponendo l’accoppiata Milano-Cortina. Notare l’ordine dei fattori: Milano viene prima. Non a caso il sindaco Beppe Sala si schiera subito: «Questa soluzione può funzionare».

Il tavolo è apparecchiato per l’incontro delle sei del pomeriggio: il presidente del Coni Giovanni Malagò sale a Palazzo Chigi, vede Giorgetti e gli illustra il «piano B». Sa già di avere in tasca il via libera del governo ai suoi massimi livelli anche se a una condizione: da Roma non arriverà un euro.

La benedizione di Giorgetti va di pari passo con quella di Matteo Salvini: «Se i fondi li trovano loro, e se la spesa è limitata, perché no?». Ma è Luigi Di Maio a fare la differenza. Il capo politico del Movimento 5 Stelle potrebbe mettersi di traverso e minacciare una crisi, invece sceglie di sacrificare Torino in nome della concordia di un governo dai troppi fronti aperti. Individua nel Coni un buon capro espiatorio - «ha creato una situazione insostenibile in cui come al solito si sarebbero sprecati soldi dello Stato» - e poi si allinea a Salvini: «A questo punto chi vorrà concorrere dovrà provvedere con risorse proprie».

I Cinquestelle si allineano

È il via libera che serve. Il no del Movimento 5 Stelle alle Olimpiadi - emerso sotto forma di attacco al sindaco di Milano lunedì sera - diventa un sì, a volte pure entusiastico, vedi il sottosegretario agli Affari regionali Stefano Buffagni, non a caso milanese: «Superiamo le difficoltà e remiamo insieme per regalare al Paese un appuntamento importante». L’unica clausola è che siano le due Regioni a pagare. Per i Cinquestelle è la linea Maginot di giornata, ma chissà quanto reggerà. Il pressing di Lombardia e Veneto è già cominciato: «Bisogna capire il governo cosa vuole fare, non si può pensare che due comunità investano 400-500 milioni per le Olimpiadi. È dura, noi non so nemmeno se ne abbiamo la metà», ragiona il governatore veneto Luca Zaia. Probabilmente stima per difetto il budget olimpico: con i 750 milioni del Cio e i 500 delle due Regioni si arriverebbe a un miliardo e 200 milioni. Per non rischiare sorprese servono almeno altri 300 milioni. Un nuovo fronte destinato ad aprirsi dentro il governo. E un tema che preoccupa anche il presidente del Coni Giovanni Malagò: «Le Olimpiadi senza il governo si possono fare, l’importante è che qualcuno metta le garanzie. Certo è che nel nostro Paese non è mai successo e non so se le due regioni se la sentiranno di andare avanti».

Intanto evita di presentarsi oggi al Cio a mani vuote, e non è poco viste le premesse. Per il resto c’è tempo. La Lega ha già cominciato a sondare il terreno, spiegando che Lombardia e Veneto, nonostante i loro bilanci siano floridi (rispettivamente 23 e 15 miliardi l’anno), da sole non ce la possono fare. Visto come è andata ieri non è escluso che le riesca un secondo colpaccio.

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