Nell’anniversario della propria vocazione sacerdotale, papa Francesco è tornato a riflettere sulla figura di san Matteo, pubblicano convertito, per sottolineare la necessità di «avere la memoria dei nostri peccati, la memoria che il Signore ha avuto misericordia dei miei peccati e mi ha scelto per essere cristiano, per essere apostolo», nel corso della messa mattutina a Casa Santa Marta, e avvertire che chi «dimentica le sue origini e incomincia a fare carriera» alla fine sarà solo «un affarista del Regno di Dio».

 

Al giorno della festa liturgica di San Matteo di 65 anni fa – era il 21 settembre 1953 – Jorge Mario Bergoglio fa risalire la propria vocazione sacerdotale, tanto che il motto di papa Francesco, miserando atque eligendo, è tratto dalle omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: «Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me» («Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: seguimi»).

 

E il Pontefice argentino ha iniziato l’omelia quotidiana nella Cappella della sua residenza dalla figura di san Matteo, un corrotto «perché per i soldi tradiva la patria. Un traditore del suo popolo: il peggio». Qualcuno può pensare, ha detto Francesco a quanto riportato da Vatican News, che Gesù «non ha buon senso per scegliere la gente», perché oltre a Matteo ha scelto tanti altri prendendoli «dal posto più disprezzato»: la samaritana, tanti altri peccatori, «e poi, nella vita della Chiesa, tanti cristiani, tanti santi che sono stati scelti dal più basso… scelti dal più basso. Questa coscienza che noi cristiani dovremmo avere – da dove sono stato scelto, da dove sono stata scelta per essere cristiano – deve permanere per tutta la vita, rimanere lì e avere la memoria dei nostri peccati, la memoria che il Signore ha avuto misericordia dei miei peccati e mi ha scelto per essere cristiano, per essere apostolo». Francesco ha indicato l’esempio positivo di Matteo, che dopo la chiamata non si vestì di lusso, non cominciò a dire agli altri: io sono il principe degli Apostoli, qui comando io: «No! Ha lavorato tutta la vita per il Vangelo. Quando l’Apostolo dimentica le sue origini e incomincia a fare carriera, si allontana dal Signore e diventa un funzionario; che fa tanto bene, forse, ma non è Apostolo. Sarà incapace di trasmettere Gesù; sarà un "sistematore" di piani pastorali, di tante cose; ma alla fine, un affarista. Un affarista del Regno di Dio, perché ha dimenticato da dove era stato scelto». Per questo, ha detto il Papa, è importante la memoria delle nostre origini: «Questa memoria deve accompagnare la vita dell’Apostolo e di ogni cristiano».

 

Se noi siamo portati a guardare gli altri, i loro peccati e a sparlare di loro, è meglio accusare se stessi, ha detto Francesco, e ricordare da dove il Signore ci ha scelto. Alla chiamata, Matteo rinuncia al suo amore, ai soldi, per seguire Gesù. E, dice il Papa, ha invitato gli amici del suo gruppo a pranzare con lui per festeggiare il Maestro. Così a quella tavola sedeva «il peggio del peggio della società di quel tempo. E Gesù con loro. E i dottori della Legge si sono scandalizzati. Chiamarono i discepoli e dissero: “Ma come mai il tuo Maestro fa questo, con questa gente? Ma, diventa impuro!”: mangiare con un impuro ti contagia l’impurità, non sei puro. E Gesù prende la parola e dice questa terza parola: “Andate a imparare cosa vuol dire ‘misericordia io voglio, e non sacrifici’”. La misericordia di Dio cerca tutti, perdona tutti. Soltanto, ti chiede di dire: “Sì, aiutami”. Soltanto quello». Non sono i sani che hanno bisogno del medico, spiega Gesù, ma i malati: «Capire la misericordia del Signore – conclude Francesco – è un mistero; il mistero più grande, più bello, è il cuore di Dio. Se tu vuoi arrivare proprio al cuore di Dio, prendi la strada della misericordia, e lasciati trattare con misericordia».

 

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