«Essere catechisti! Non lavorare da catechisti: questo non serve! Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare. Ma se tu non sei catechista, non serve. Non sarai fecondo, non sarai feconda! Catechista è una vocazione: essere catechista, questa è la vocazione, non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto fare i catechisti, ma esserlo, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza». Queste le parole che Papa Francesco ha rivolto tramite un videomessaggio - essendo in questi giorni impegnato nel viaggio apostolico nei Paesi baltici - ai partecipanti al Convegno internazionale “Il catechista, testimone del mistero”, organizzato dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova Evangelizzazione in Aula Paolo VI, dal 20 al 23 settembre.

Qui il videomessaggio del Papa:

«Avrei tanto desiderato condividere con voi di persona questo momento importante del vostro radunarvi insieme per riflettere sulla seconda parte del Catechismo della Chiesa Cattolica, che tocca contenuti importanti e basilari per la Chiesa e per ogni cristiano, come la vita sacramentale, l’azione liturgica e il loro impatto sulla catechesi», dice il Pontefie ai circa 1.500 catechisti, provenienti da 48 Paesi diversi.

Ringraziando per «l’entusiasmo» con cui vivono questo ruolo, Papa Bergoglio ha ricordato che la vocazione ad essere catechisti deve assumere «sempre di più una forma di servizio che viene svolto nella comunità cristiana e che richiede di essere riconosciuto come un vero e genuino ministero della Chiesa, di cui abbiamo particolarmente bisogno».

Il catechista, sottolinea il Papa, «non può dimenticare, soprattutto oggi in un contesto di indifferenza religiosa, che la sua parola è sempre un primo annuncio. Pensate bene questo: in questo mondo, in quest’area di tanta indifferenza, la vostra parola sempre sarà un primo annuncio, che arriva a toccare il cuore e la mente di tante persone che sono di attesa di incontrare Cristo. Anche a loro insaputa, ma sono in attesa. E quando dico primo annuncio non lo intendo solo in senso temporale. Certo, questo è importante, ma non è sempre così».

Primo annuncio, spiega Francesco, «equivale a sottolineare che Gesù Cristo morto e risorto per amore del Padre, dona il suo perdono a tutti senza distinzione di persone, se solo aprono il loro cuore a lasciarsi convertire! Spesso non percepiamo la forza della grazia che, anche attraverso le nostre parole, tocca in profondità i nostri interlocutori e li plasma per permettere loro di scoprire l’amore di Dio».

In quest’ottica «il catechista non è un maestro o un professore che pensa di svolgere una lezione» e «la catechesi non è una lezione; la catechesi è la comunicazione di un’esperienza e la testimonianza di una fede che accende i cuori, perché immette il desiderio di incontrare Cristo. Questo annuncio in vari modi e con differenti linguaggi è sempre il “primo” che il catechista è chiamato a realizzare!»

«Per favore», domanda il Vescovo di Roma, «nella comunicazione della fede non cadete nella tentazione di stravolgere l’ordine con il quale da sempre la Chiesa ha annunciato e presentato il kerigma, e che trova riscontro anche nella struttura dello stesso Catechismo. Non si può, ad esempio, anteporre la legge, fosse anche quella morale, all’annuncio tangibile dell’amore e della misericordia di Dio. Non possiamo dimenticare le parole di Gesù: “Non sono venuto a condannare, ma a perdonare...”».

Alla stessa stregua, «non si può presumere di imporre una verità della fede prescindendo dalla chiamata alla libertà che questa comporta». È necessario, allora, zche il catechista comprenda, quindi, la grande sfida che si trova dinanzi su come educare alla fede, in primo luogo, quanti hanno un’identità cristiana debole e, per questo, hanno bisogno di vicinanza, di accoglienza, di pazienza, di amicizia. Solo così la catechesi diventa promozione della vita cristiana, sostegno nella formazione globale dei credenti e incentivo ad essere discepoli missionari».

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