«Non permettete che il mondo vi faccia credere che è meglio camminare da soli. Non cedete alla tentazione di concentrarvi su voi stessi, di diventare egoisti o superficiali davanti al dolore, alle difficoltà o al successo passeggero». È il messaggio che Papa Francesco trasmette ai giovani lituani, radunati nella piazza della cattedrale di Vilnius, dove si trova, tra gli altri monumenti, anche una particolare attrazione turistica: la “pietra magica”. Secondo una credenza popolare, da quel punto è partita la storica catena umana di protesta che il 23 agosto 1989 collegò Vilnius a Riga e Tallin, e che ha segnato l’inizio della liberazione degli Stati baltici dalla dominazione sovietica. Secondo la leggenda, girando attorno alla pietra che porta incisa la scritta “stebuklas” (“miracolo” in lituano), i desideri si avverano.

Ma nelle parole del Papa argentino non ci sono riferimenti alle leggende. C’è piuttosto un invito concreto a non cedere all’egoismo e al mito del successo, cioè a non dimenticare mai che «quello che succede all’altro, succede a me». Francesco ascolta due testimonianze. Quella di Monica, che grazie alla testimonianza della nonna e della comunità di una parrocchia francescana ha imparato a non odiare il padre poi morto alcolizzato, che la picchiava. Quella di Jonas, giovane marito, colpito da una malattia autoimmune che lo costringe a fare tre dialisi a settimana, che ha imparato ad accettare la sua situazione e ad avere speranza. Francesco li ringrazia per la loro testimonianza: «L’ho accolta come un amico, come se fossimo seduti insieme, in qualche bar, a raccontarci le cose della vita, prendendo una birra…».

Il Papa invita a rileggere le loro storie che non sono «un’opera teatrale, ma vita concreta» per «scoprirvi il passaggio di Dio... Perché Dio passa sempre nella nostra vita. Sempre passa e un grande filosofo diceva: “Io ho paura quando Dio passa, paura di non accorgermene”». «Come questa chiesa cattedrale, voi avete sperimentato situazioni che vi facevano crollare, incendi dai quali sembrava che non avreste potuto riprendervi. Più volte questo tempio è stato divorato dalle fiamme, è crollato, e tuttavia ci sono sempre stati quelli che hanno deciso di edificarlo di nuovo».

«La vita, la condizione e la morte di tuo papà, Monica; la tua malattia, Jonas, avrebbero potuto devastarvi... E tuttavia siete qui, a condividere la vostra esperienza con uno sguardo di fede, facendoci scoprire che Dio vi ha dato la grazia per sopportare, per rialzarvi, per continuare a camminare nella vita. Io mi domando - aggiunge a braccio -: come si è riversata in voi questa grazia di Dio? Non dall’aria, non magicamente, niente... non c’è la bacchetta magica per la vita. Questo è accaduto mediante persone che hanno incrociato la vostra vita, gente buona che vi ha nutrito con la loro esperienza di fede. Sempre c’è gente nella vita che ci dà una mano per aiutarci ad alzarci».

Bergoglio ha quindi sottolineato alcune circostanze raccontate dai due giovani. «Monica, tua nonna e tua mamma, la parrocchia francescana, sono state per te come la confluenza di questi due fiumi: così come il Vilnia si unisce al Neris, tu ti sei aggregata, ti sei lasciata condurre da questa corrente di grazia. Perché il Signore ci salva rendendoci parte di un popolo, ci inserisce in un popolo e la nostra identità, alla fine, sarà l’appartenenza ad un popolo. Nessuno può dire: “io mi salvo da solo”, siamo tutti interconnessi, siamo tutti “in rete”».

«Non permettete che il mondo vi faccia credere che è meglio camminare da soli - li ha esortati Francesco - da soli non si arriva mai... Sì, potrai arrivare e avere un successo nella vita, ma senza amore, compagni, appartenenza a un popolo, senza quella esperienza tanto bella che è rischiare insieme, non si può camminare da soli. Non cedete alla tentazione di concentrarvi su voi stessi, guardandoci “la pancia”, la tentazione di diventare egoisti o superficiali davanti al dolore, alle difficoltà o al successo passeggero».

Perché bisogna affermare «ancora una volta che “quello che succede all’altro, succede a me”, andiamo controcorrente rispetto a questo individualismo che isola, che ci fa diventare egocentrici e vanitosi, preoccupati solamente dell’immagine e del proprio benessere, di come apparire». «È brutta la vita davanti allo specchio, invece è bella la vita con gli altri, in famiglia, con gli amici, con la lotta del mio popolo. Così la vita è bella!», ha aggiunto a braccio Bergoglio.

«Siamo cristiani e vogliamo puntare sulla santità, ma puntate sulla santità a partire dall’incontro e dalla comunione con gli altri, a partire dalle loro necessità. La nostra vera identità presuppone l’appartenenza a un popolo. Non esistono identità “di laboratorio”, né identità “distillate”, identità “purosangue”», ha proseguito. Esiste invece l’identità di «camminare insieme, lottare insieme, l’identità della appartenenza alla famiglia, a un popolo, l’identità che ti dà l’amore, la forza per lottare e allo stesso tempo la tenerezza per accarezzare».

Il Papa ha invitato ad usare «le armi potenti» della preghiera e del canto. «In che altro modo - si è chiesto Francesco - potremmo combattere contro lo scoraggiamento di fronte alle difficoltà proprie e altrui, di fronte agli orrori del mondo? Come faremmo senza la preghiera per non credere che tutto dipende da noi, che siamo soli davanti al corpo a corpo con le avversità? “Gesù ed io, maggioranza assoluta!”, diceva sant’Alberto Hurtado».

«Anche a voi - ha detto ancora il Papa - è stata di sostegno nella vita l’esperienza di aiutare gli altri, scoprire che vicino a noi ci sono persone che stanno male, anche molto peggio di noi. Monica, ci hai raccontato del tuo impegno con i bambini disabili. Vedere la fragilità degli altri ci colloca nella realtà, ci impedisce di vivere leccandoci le nostre ferite. È brutto vivere nelle lamentele, è brutto! È brutto vivere leccandosi le ferite! Quanti giovani se ne vanno dal loro Paese per mancanza di opportunità! Quanti sono vittime della depressione, dell’alcol e delle droghe! Voi lo sapete bene... Quante persone anziane sole, senza qualcuno con cui condividere il presente e con la paura che ritorni il passato».

«Se la vita fosse un’opera di teatro o un videogioco - ha concluso Francesco - sarebbe ristretta in un tempo preciso, un inizio e una fine, quando si abbassa il sipario o qualcuno vince la partita. Ma la vita si misura con altri tempi; la vita si gioca in tempi rapportati al cuore di Dio; a volte si avanza, altre volte si retrocede, si provano e si tentano strade, si cambiano... Invece la vita è sempre un camminare - la vita è in cammino, non è ferma - è un camminare cercando la direzione giusta, senza paura di tornare indietro se ho sbagliato. La cosa più pericolosa è confondere il cammino con un labirinto: quel girare a vuoto attraverso la vita, su sé stessi, senza imboccare la strada che conduce avanti. Non siate giovani del labirinto, dal quale è difficile uscire, ma giovani in cammino. Niente labirinto, in cammino!».

«Non abbiate paura di decidervi per Gesù - è l’invito finale - di abbracciare la sua causa, quella del Vangelo della umanità, degli esseri umani. Perché Egli non scenderà mai dalla barca della vostra vita, sarà sempre all’incrocio delle nostre strade, non smetterà mai di ricostruirci, anche se a volte noi ci impegniamo nel demolirci».

Prima di congedarsi dal suo ultimo appuntamento a Vilnius, il Papa, ancora a braccio, aggiunge una raccomandazione: «La testimonianza vostra, Monica e Jonas, parlava della nonna, della mamma. Io vorrei dirvi - e con questo finisco, state tranquilli – di non dimenticare le radici del vostro popolo. Pensate al passato, parlate con i vecchi, non è noioso parlare con gli anziani. Andate a cercare i vecchi e fatevi raccontare le radici del vostro popolo, le gioie, le sofferenze, i valori. Così prendendo le radici, porterete avanti il vostro popolo per un frutto più grande».

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