«È come una delicata palpebra a proteggere il tesoro sottostante». La sovrintendente Luisa Papotti paragona la volta che racchiude l’area archeologica della chiesa paleocristiana di San Secondo alla protezione dell’occhio.

E in effetti, passeggiando su via Ancona angolo corso Palermo, sul lato sud della Nuvola di Lavazza, l’ampia vetrata che si affaccia sul marciapiede assomiglia al cristallino di un grande occhio aperto verso il passato della città.

Di notte, poi, l’illuminazione rende ancora più suggestivo l’insieme. I resti della Torino del IV secolo si trovano a pochi metri, e si possono ammirare anche camminando, ma è solo scendendo i pochi gradini che ci si può letteralmente immergere in un altro mondo. Da ieri questo insolito angolo di Torino è restituito alla città, entrando a far parte del patrimonio storico artistico (e, si spera, anche turistico) dei torinesi.

«Un successo – spiega Papotti – reso possibile grazie all’intervento del Comune e della Lavazza, che hanno unito le forze in una sinergia pubblico-privato essenziale verso questo risultato».

Al taglio del nastro la sindaca Chiara Appendino ha ricordato «l’importante continuità con la precedente amministrazione per la buona riuscita del progetto». Giuseppe Lavazza non ha nascosto la «splendida opportunità rispetto a quello che inizialmente poteva quasi sembrare un problema per la costruzione della Nuvola».

Prima che nascesse il nuovo centro direzionale della Lavazza l’area era occupata da una vecchia centrale elettrica, peraltro danneggiata durante la Seconda guerra mondiale. Il quartiere Aurora è noto agli archeologi perché sorge sul luogo dove le fonti antiche parlano di una necropoli fuori le mura di Augusta Taurinorum, sulla strada per Vercelli, «in luogo ameno, in prossimità della Dora».

Nel 2011, proprio davanti all’attuale vetrata, viene ritrovata fortuitamente una stele del II secolo dedicata al cittadino torinese Quinto Cesio Secondo, riutilizzata come copertura per una tomba due secoli più tardi. Oggi questa stele, grazie a un prestito dei Musei Reali, è tornata al suo posto, e nel percorso di visita inaugurato ieri ha preso il posto d’onore. Si sapeva anche dell’esistenza di una chiesa paleocristiana dedicata al culto di San Secondo, martire della legione tebea, copatrono di Torino.

L’area è stata poi fittamente edificata quando nasce il quartiere, tra fine ’800 e inizio ’900. La chiesa di San Secondo (o meglio, le sue fondamenta) poteva trovarsi in un’ampia area, chissà sotto quale palazzo della zona. Invece è stata riscoperta proprio sotto la centrale elettrica ed è venuta alla luce nel 2014, dopo tredici secoli. «Quando viene costruita – spiega Papotti – Torino è una città impaurita, chiusa nelle sue mura».

È una chiesa in stile ravennate, in realtà un luogo di sepoltura ricco di pietre tombali, accanto a tre mausolei, simili a tombe di famiglia. Tutte strutture che nel X secolo, probabilmente già decadenti, verranno distrutte dai Saraceni.

Le spoglie di San Secondo, al momento della distruzione, sono già al sicuro, traslate dentro le mura. Oggi si trovano deposte in una cappella laterale del Duomo di Torino. Un plastico e un video, nel percorso di visita, aiutano il visitatore a capire e soprattutto a immaginare come dovesse presentarsi quest’angolo di Torino nel IV secolo.

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