«La violenza usata su di voi per aver difeso la libertà civile e religiosa, la violenza della diffamazione, il carcere e la deportazione non hanno potuto vincere la vostra fede in Gesù Cristo». Papa Francesco, prima di lasciare Kaunas e far ritorno a Vilnius, incontra i sacerdoti, i consacrati e i seminaristi lituani nella cattedrale, il primo grande edificio gotico del Paese, che racchiude oltre 600 anni di storia.

 

Francesco ha iniziato con una lunga introduzione a braccio: «Viene in mente - ha detto - una parola per cominciare: non dimenticatevi, abbiate memoria, siete figli di martiri, questa è la vostra forza! E lo Spirito del mondo non venga a dirvi qualche altra cosa diversa da quella che hanno vissuto i vostri antenati. Ricordate i vostri martiri, prendete esempio da loro: non avevano paura!».

 

«Parlando con i vostri vescovi, oggi, dicevano: come si può fare per introdurre la causa di beatificazione a tanti che non abbiamo documenti ma sappiamo che sono martiri? È una consolazione, è bello sentire questo, la preoccupazione per coloro che ci hanno dato testimonianza, sono dei santi».

 

Il Papa ha commentato le parole pronunciate dal vescovo francescano Linas Vodopjanovas, che lo aveva salutato poco prima. «Il vescovo ha parlato senza sfumature. I francescani parlano così. Oggi spesso in vari modi viene messa alla prova la nostra fede, ha detto lui. Lui pensava ai dittatori che perseguitano, no! Dopo aver risposto alla chiamata della vocazione, spesso non proviamo più gioia nella preghiera né nella vita comunitaria. Lo spirito della secolarizzazione, la noia per tutto quello che tocca la comunità, è la tentazione della seconda generazione. I nostri padri hanno lottato, hanno sofferto, sono stati carcerati, e forse noi non abbiamo la forza di andare avanti. Tenere conto di questo».

 

Francesco, ricordando le parole di san Paolo, ha detto ai preti che «si geme per la schiavitù della corruzione, per l’anelito alla pienezza. E oggi ci farà bene domandarci se quel gemito è presente in noi, o se invece nulla più grida nella nostra carne, nulla anela al Dio vivente». «Noi - ha aggiunto a braccio - non siamo funzionari di Dio! La società del benessere forse ci ha resi troppo sazi, pieni di servizi e di bene e ci ritroviamo appesantiti di tutto e pieni di nulla».

  

«Nessuna informazione immediata, nessuna comunicazione virtuale istantanea - ha continuato Francesco - può privarci dei tempi concreti, prolungati, per conquistare – di questo si tratta, di uno sforzo costante – un dialogo quotidiano con il Signore attraverso la preghiera e l’adorazione».

 

Bergoglio ha quindi spiegato quale sia l’origine di quel gemito, che «deriva anche dalla contemplazione del mondo degli uomini, è un appello alla pienezza di fronte ai bisogni insoddisfatti dei nostri fratelli più poveri, davanti alla mancanza di senso della vita dei più giovani, alla solitudine degli anziani, ai soprusi contro l'ambiente. È un gemito che cerca di organizzarsi per incidere sugli eventi di una nazione, di una città; non come pressione o esercizio di potere, ma come servizio».

 

«Ascoltare la voce di Dio nella preghiera ci fa vedere, udire, conoscere il dolore degli altri per poterli liberare. Ma altrettanto - ha detto ancora il Papa - dobbiamo essere colpiti quando il nostro popolo ha smesso di gemere, ha smesso di cercare l'acqua che estingue la sete. È un momento anche per discernere che cosa stia anestetizzando la voce della nostra gente».

 

Francesco, dopo aver invitato sacerdoti e consacrati a «programmare ed essere audaci e creativi nel nostro apostolato», senza lasciare «la nostra presenza all’improvvisazione», ha citato l’esperienza dei preti più anziani, che hanno conosciuto le violenze e la persecuzione. «Voi, i più anziani di età – come non menzionare monsignor Sigitas Tamkevicius? – saprete testimoniare questa costanza nel patire, questo “sperare contro ogni speranza”. La violenza usata su di voi per aver difeso la libertà civile e religiosa, la violenza della diffamazione, il carcere e la deportazione non hanno potuto vincere la vostra fede in Gesù Cristo, Signore della storia».

 

«E voi, più giovani - ha detto ancora il Pontefice - quando davanti alle piccole frustrazioni che vi scoraggiano tendete a chiudervi in voi stessi, a ricorrere a comportamenti ed evasioni che non sono coerenti con la vostra consacrazione, cercate le vostre radici e guardate la strada percorsa dagli anziani. Sono proprio le tribolazioni a delineare i tratti distintivi della speranza cristiana». E ai seminaristi, parlando ancora a braccio, il Papa ha detto: «È meglio che prendiate un’altra strada, piuttosto che vivere nella mediocrità. Siete ancora in tempo, la porta è aperta…».

 

«È vero che questi sono altri tempi e viviamo in altre strutture - ha aggiunto Francesco - ma è anche vero che questi consigli vengono meglio assimilati quando coloro che hanno vissuto quelle dure esperienze non si chiudono, ma le condividono approfittando dei momenti comuni. Le loro storie non sono piene di nostalgie di tempi passati presentati come migliori, né di accuse dissimulate verso quanti hanno strutture affettive più fragili».

Papa Bergoglio parla poi - ancora a braccio - di «gioia» e di «tristezza», quella che «semina il diavolo» e che si insinua nel cuore di coloro che «hanno lasciato da parte una vita di matrimonio e di famiglia, hanno voluto seguire il Signore» ma che a un certo punto si trovano «stanchi». «Adesso sembra che si sono stancati e scende la tristezza. Per favore - raccomanda il Papa - quando vi troverete tristi fermatevi e cercate un prete saggio o una suora saggia. Ma non saggio o saggia perché sono laureati all’università, saggio o saggia perché sono stati capaci di andare avanti nell’amore». 

«Andate a chiedere consiglio», insiste Bergoglio, «quando comincia quella tristezza - possiamo profetizzare - se non è guarita in tempo farà di voi dei “zitelloni” e delle “zitellone”!». Ma c’è un’altra cosa «collegata alla tristezza», prosegue il Papa sempre a braccio: «Confondere la vocazione con una impresa, con una ditta di lavoro…». E quando «domani viene un vescovo, un altro vescovo o un superiore, una superiora, e ti dice “no, taglia questo e vai da un’altra parte”, quella è una sconfitta, perché lì tu ti accorgerai di essere andato in una strada equivoca, ti accorgerai che il Signore che ti ha chiamato per amare, è deluso di te perché hai preferito l’affarista».

«La vita di seguire Gesù non è la vita di funzionari e funzionarie», ribadisce ancora una volta il Pontefice, «è la vita dell’amore e dello zelo apostolico per la gente». «Farò una caricatura - dice Francesco -: cosa fa un prete funzionario? Ha il suo orario, apre l’ufficio, fa il lavoro, chiude l’ufficio e la gente è fuori, non si avvicina la gente. Cari fratelli e sorelle, se voi non volete essere funzionari vi dirò una parola: vicinanza e prossimità. Vicinanza al tabernacolo, a tu e tu col Signore, e vicinanza alla gente. “Ma, padre, la gente no viene?”. “Vai a trovarla!”. “Ma i ragazzi oggi non vengono”. Inventa qualcosa all’oratorio per aiutarli».

«Il Signore vi vuole pastori di popolo e non chierici di stato», sottolinea il Vescovo di Roma. Questa vicinanza si traduce nella misericordia: «Un sacerdote non può non essere misericordioso, soprattutto nel confessionale». Quando si avvicina un peccatore «pensate come Gesù riceverebbe a questa persona. Ma lo ha bastonato abbastanza la vita quel poveraccio? Se tu non puoi dargli l’assoluzione, per esempio, dagli la consolazione del fratello, del padre! Incoraggialo ad andare avanti, convincilo che Dio perdona tutto, ma questo col calore di padre». 

«Mai cacciare nessuno dal confessionale, mai cacciare via!», afferma il Papa. «Spiegate: “Ma guarda tu non puoi, Dio ti ama, tu prega, torna..”. Così, vicinanza». Questo è «essere padre»: «A te non importa di quel peccatore che lo cacci via così?», domanda il Papa, precisando: «non sto parlando di voi perché non vi conosco». «Il confessionale non è lo studio di uno psichiatra, non è per scavare nel cuore della gente», conclude, «il confessionale è il posto della misericordia, il posto dell’incontro di Dio con il suo figlio».

Una parola, infine, alle «care suorine»: «Tante volte si vedono suore che sono brave ma che chiacchierano, chiacchierano, chiacchierano… Per favore siate madri, perché voi siete icona della Chiesa e della Madonna. E ogni persona che vi vede deve vedere la mamma Chiesa, la mamma Maria. E la mamma Chiesa non è “zitellona”, la mamma Chiesa non chiacchiera: ama, serve, fa crescere. La vostra vicinanza è essere madre, icona della Chiesa, icona della Madonna».

Quindi, ricapitola il Papa, «servizio di sacerdote e vita consacrata non da funzionari ma da padri e madri di misericordia». «E se voi fate così - assicura - da vecchi avrete un sorriso bellissimo e degli occhi brillanti perché avrete l’anima piena di tenerezza, di mitezza, di misericordia, di amore, di paternità e maternità».

 

 

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