«È il Venerdì Santo del dolore e dell’amarezza, della desolazione e dell’impotenza, della crudeltà e del non senso che ha vissuto questo popolo lituano di fronte all’ambizione sfrenata che indurisce e acceca il cuore». Le prime parole giungono dopo oltre un’ora di visita condotta nel più totale silenzio e in preghiera nel Ghetto ebraico e al Museo delle Occupazioni e Lotte per la Libertà di Vilnius. Alla sua terza ed ultima tappa nella capitale della Lituania, il Pontefice si addentra nei gangli più sofferenti della storia e della memoria del Paese baltico, recandosi nel quartiere ebraico devastato esattamente settantacinque anni fa nella notte tra il 22 e il 23 settembre e nell’edificio che fu sede della Gestapo prima e del Kgb poi dove furono imprigionati, torturati e assassinati più di un migliaio di oppositori del regime comunista, tra cui numerosi sacerdoti.

Bergoglio giunge intorno alle 16.20 (ora italiana) al Ghetto - tappa inserita in un secondo momento nel programma ufficiale, vista la coincidenza con la ricorrenza storica - e, accolto dalla presidente Dalia Grybauskaité, si sofferma per pochi istanti davanti al monumento che fa memoria di tutti gli ebrei uccisi dalla furia nazista. Un vero e proprio genocidio per anni sottaciuto dal momento che vide la collaborazione di un fronte nazionalista interno alla stessa Lituania. Al momento della scelta, furono in molti della popolazione locale a decidere di sostenere gli invasori. Ma nel Paese furono anche tanti, tantissimi, quelli che aiutarono gli ebrei a salvarsi: 893 i “Giusti tra le nazioni” lituani commemorati nello Yad Vashem di Gerusalemme.

È anche in loro memoria che, venticinque anni fa, dopo la visita di Giovanni Paolo II che squarciò il velo su questi spiragli di storia, si decise di inaugurare il monumento in marmo oggi visitato da Papa Francesco. Dopo aver deposto un mazzo di fiori bianco e giallo, il Pontefice si è soffermato in preghiera, a capo chino e con le mani giunte, per circa cinque minuti inchinandosi alla fine.

Poi si è subito trasferito ad un centinaio di metri, al Museo delle Occupazioni e Lotte per la Libertà. Anche qui una tappa silenziosa, come fu quella ad Auschwitz durante il viaggio in Polonia del 2016.

 

Francesco è accompagnato dall’arcivescovo Gintaras Grušas e dall’anziano vescovo gesuita Sigitas Tamkevičius, anche lui arrestato nel 1983 e tenuto prigioniero dai militari sovietici. Insieme visitano le celle dove veniva rinchiuso chi era accusato di propaganda anti-regime o collaborazionismo con la resistenza. Tra questi numerosi sacerdoti e vescovi cattolici - circa il 20% di tutti i prigionieri - come Teofilo Matulionis, beatificato nel giugno scorso, o Alfonsas Svarinskas, sopravvissuti alle botte, alle privazioni e ai lavori forzati nei gulag siberiani, e morti dopo decenni. 

Le loro foto sono esposte nella cella numero 11, la famigerata cella che insieme alla numero 9 era il teatro delle torture più cruente. Oggi è un’aula con le pareti tinte di verde in cui sono conservati ancora oggetti appartenenti ai prigionieri; appeso c’è un candelabro in oro puro donato dal Papa, il quale nella stanza, dopo un’altra breve preghiera, accende a sua volta una candela in segno di una memoria che mai deve spegnersi. Subito dopo, salendo una scala ripida e angusta e oltrepassando anche la sala delle esecuzioni sommarie, Francesco si ferma a firmare il libro d’onore. 

«In questo luogo che commemora le tante persone che soffrirono a causa della violenza e dell’odio e che sacrificarono le loro vite per i bene della libertà e della giustizia, ho pregato che Dio possa concedere i suoi doni di riconciliazione e pace sul popolo lituano», sono le parole scritte dal Papa in inglese.

Segue la preghiera pronunciata dinanzi a centinaia di persone radunate davanti ad un monumento in pietra fuori dal museo, dove viene deposta un’altra corona di fiori. «Il tuo grido, Signore, non cessa di risuonare, e riecheggia tra queste mura che ricordano le sofferenze vissute da tanti figli di questo popolo», recita il Papa. «Lituani e provenienti da diverse nazioni hanno sofferto nella loro carne il delirio di onnipotenza di quelli che pretendevano di controllare tutto. Nel tuo grido, Signore, trova eco il grido dell’innocente che si unisce alla tua voce e si leva verso il cielo». 

In questo luogo della memoria, il Vescovo di Roma implora il Signore: «Che il tuo grido ci mantenga svegli. Che il tuo grido, Signore, ci liberi dalla malattia spirituale da cui, come popolo, siamo sempre tentati: dimenticarci dei nostri padri, di quanto è stato vissuto e patito. Che nel tuo grido e nella vita dei nostri padri che tanto hanno sofferto possiamo trovare il coraggio di impegnarci con determinazione nel presente e nel futuro; che quel grido sia stimolo per non adeguarci alle mode del momento, agli slogan semplificatori, e ad ogni tentativo di ridurre e togliere a qualsiasi persona la dignità di cui Tu l’hai rivestita». 

L’augurio del Papa è che «la Lituania sia faro di speranza. Sia terra della memoria operosa che rinnova gli impegni contro ogni ingiustizia. Che promuova creativi sforzi nella difesa dei diritti di tutte le persone, specialmente dei più indifesi e vulnerabili. E che sia maestra nel riconciliare e armonizzare le diversità». «Signore - conclude Francesco - non permettere che siamo sordi al grido di tutti quelli che oggi continuano ad alzare la voce al cielo». 

Il silenzio viene quindi definitivamente spezzato. Intanto il coro accompagna il congedo del Papa con un canto, lo stesso intonato dai deportati e dai combattenti per la libertà.

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