Nell’incertezza paralizzante in cui le elezioni del 9 settembre hanno lasciato la Svezia è caduta la prima vittima: ieri mattina, alla prima convocazione del Riskdag dopo il voto, il premier Stefan Löfven è stato sfiduciato. È la prima volta che succede nella storia della democrazia svedese. Löfven ha ceduto sotto il peso dei 204 parlamentari (su 349) che hanno votato contro il governo uscente, la coalizione rossoverde al potere da quattro anni. E ora, la sfida per formare un nuovo esecutivo, appare ancora più difficile.

Nella fragilità di un voto che ha consegnato il Paese in una situazione di stallo, con i due blocchi contrapposti – il centro sinistra e l’Alleanza di centrodestra – in quasi perfetta parità e senza una maggioranza, quello che entrambe le coalizioni temevano è ormai sempre più probabile: sarà necessario scendere a qualche forma di compromesso con l’ultradestra populista dei Democratici svedesi. Perché da oggi, tra il leader socialdemocratico Stefan Löfven e quello dei Moderati Ulf Kristersson, a fare da ago della bilancia c’è di nuovo lui, Jimmie Åkesson, il leader di quel partito nato dai movimenti neonazisti che ha polarizzato la campagna elettorale in chiave anti-immigrati e ha ottenuto un tale sostegno da trascinare quasi tutte le formazioni politiche che ormai rivendicano limiti all’immigrazione e più sicurezza. E sebbene la formazione di Åkesson, che aspirava a diventare il secondo partito del Paese, ha fallito l’obiettivo primario (è il terzo partito), nessuno può più negare il ruolo in un delicato equilibrio politico. «Non sono qui per creare problemi – ha detto – ma non lasceremo passare un esecutivo che non pone le giuste condizioni per governare il Paese». Le «giuste condizioni» le ha spiegate Mattias Karlsson, capogruppo Ds: «La questione più importante ora sarà la politica migratoria». Insomma, che sia un governo di centro-sinstra o di centro-destra, l’ esecutivo dovrà fare i conti con l’ultradestra.

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Lo speaker

Andreas Norlén, dei Moderati, è stato eletto speaker del parlamento. Un ruolo cruciale, che solitamente anticipa il «colore» del nuovo premier: sarà lui che da domani inizierà le consultazioni per proporre un nuovo primo ministro. Avrà quattro tentativi a disposizione: se fallisce la Svezia sarà costretta a convocare nuove elezioni entro tre mesi. Secondo gli analisti sarà Ulf Kristersson, il leader del partito Moderato, la prima scelta, dal momento che nel blocco di centro-destra, l’Alleanza, è il suo partito ad avere ottenuto più voti. E le battaglie interne sono già cominciate, con Åkesson che definisce i Moderati «deboli» per non avergli aperto le porte dopo «il sostegno nel voto per lo speaker», e il partito di Centro a ribadire: «Nessun negoziato con l’ultradestra sull’immigrazione o lasciamo l’Alleanza». Proprio quello che vorrebbe il socialdemocratico Löfven per risalire alla guida di una nuova coalizione bipartisan.

Senza via d’uscita

Di fatto i Moderati, trovandosi in una posizione di minoranza, avranno bisogno del sostegno – almeno esterno - dei Democratici svedesi, con cui tutte le parti avevano escluso di stringere accordi. E tanto per ricordare i termini di un ipotetico accordo ieri Jimmie Åkesson, ha ripetuto che il suo partito farà «crollare qualsiasi governo che non ci dia voce in capitolo su immigrazione, assistenza sanitaria, pensioni e politica sulla sicurezza». Se Ulf Kristersson «vuole essere primo ministro, può farlo solo con il mio aiuto», ha detto Åkesson alla tv svedese.

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