In un momento in cui «stiamo vivendo quasi a livello universale una forte tendenza alla legalizzazione della eutanasia», Papa Francesco indica la “cura” per far sì che questa «ombra negativa» scompaia o diventi quasi inesistente , ovvero far sentire il malato terminale amato, rispettato, accettato. Incontrando circa 70 partecipanti al IV Seminario sull’Etica nella gestione della Salute, aperto oggi in Vaticano fino al 5 ottobre 2018, il Papa richiama ancora una volta la dimensione «profondamente umana» che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra medico e paziente - molto più efficace di ogni rimedio scientifico -, oggi messa a rischio da una eccessiva «burocratizzazione» e «complessità dei sistemi sanitari».

«Curare i malati non è semplicemente la asettica applicazione di farmaci e terapie appropriate», afferma il Pontefice nel suo discorso tutto in spagnolo. Il significato originale dello stesso verbo latino «curare» non si limita infatti «alla ricerca del ripristino della salute» ma intende l’azione di «attendere, preoccuparsi, stare attento, essere responsabili del fratello. Dovremmo imparare molto sulle “cure”, perché questo è ciò per cui Dio ci chiama», sottolinea Francesco.

È questo un atteggiamento dell’operatore sanitario che «è importante in tutti i casi, ma talvolta si percepisce con maggiore intensità nelle cure palliative». «Sappiamo che quando si compie un accompagnamento umano sereno e partecipativo, il paziente cronico grave o il malato terminale percepisce questa sollecitudine», sottolinea il Papa. «Anche in quelle circostanze difficili, se la persona si sente amata, rispettata, accettata, l’ombra negativa dell’eutanasia scompare o diventa quasi inesistente, perché il valore dell’essere umano si misura dalla sua capacità di dare e ricevere amore, e non dalla sua produttività».

Papa Bergoglio indica quindi tre parole - «miracolo, cura, fiducia» - per agire all’interno del complesso ambito della salute che, in particolare in America Latina, risente dello «scoraggiamento» provocato dalla crisi economica che ostacola «lo sviluppo della scienza medica e l’accesso alle terapie e ai farmaci più appropriati». 

«I responsabili delle istituzioni assistenziali mi diranno, con ragione, che non si possono fare miracoli e dobbiamo supporre che il rapporto costi-benefici implichi una distribuzione delle risorse e che le allocazioni siano condizionate da una infinità di problemi medici, legali, economici, sociali e politici, oltre che etici», osserva il Papa. Operare un miracolo non significa tuttavia «fare l’impossibile: il miracolo è incontrare nel malato, nell’indifeso, un fratello», precisa. «Siamo chiamati a riconoscere nel destinatario delle prestazioni mediche l’immenso valore della sua dignità di essere umano, come un figlio di Dio».

Tale coscienza «se profondamente radicata nel substrato sociale», prosegue ancora Francesco, oltre a portare ad «un cambiamento interiore e di mentalità in noi e nella società», permetterà che si creino «strutture legislative, economiche, mediche, necessarie per affrontare i problemi che vanno emergendo. Le soluzioni non devono essere identiche in tutti i momenti e le realtà, ma possono essere gestite con la combinazione tra pubblico e privato, legislazione e deontologia, giustizia sociale e imprenditorialità», assicura il Papa. 

Principio ispiratore di tutto questo lavoro è sempre e comunque «la ricerca del bene» che «non è un ideale astratto, ma una persona concreta, un volto, che spesso soffre». «Siate coraggiosi e generosi nelle vostre intenzioni, piani e progetti e nell’uso di mezzi economici e tecno-scientifici», è l’incoraggiamento del Papa a medici, infermieri e operatori sanitari in genere. «Coloro che beneficiano, specialmente i più poveri, apprezzeranno i vostri sforzi e le vostre iniziative».

Da qui un invito alla fiducia, anzitutto quella «del paziente in se stesso, nella possibilità di essere guarito, perché è lì che risiede gran parte del successo della terapia». Poi, evidenzia il Pontefice, la fiducia nel fatto «che il lavoratore sia in grado di svolgere la sua funzione in un ambiente di serenità, e questo non può essere separato dal sapere che sta facendo la cosa giusta, il più umanamente possibile, a seconda delle risorse disponibili». Tale certezza «deve essere basata su un sistema di assistenza sanitaria sostenibile, in cui tutti gli elementi che lo compongono, regolati da una sana sussidiarietà, si supportano a vicenda per rispondere ai bisogni della società nel suo complesso e del paziente nella sua unicità».

«Mettersi nelle mani di una persona, soprattutto quando è in gioco la vita, è molto difficile» annota Bergoglio, osservando con un certo rammarico come sia cambiata la concezione stessa del rapporto tra il malato e il medico o l’infermiere da sempre «basato sulla responsabilità e sulla lealtà» e oggi invece messo in discussione dalla «burocratizzazione» e dalla «complessità dei sistemi sanitari». Il rischio che si corre è «che i termini del “contratto” siano quelli che stabiliscono questa relazione tra il paziente e l’operatore sanitario, infrangendo tale fiducia», ammonisce il Vescovo di Roma.

Esorta pertanto a «continuare a lottare per mantenere integro questo vincolo di profonda umanità», perché «nessuna singola istituzione sanitaria può sostituire il cuore umano o la compassione umana». L’importante è non far mai mancare nella cura del malato «un forte dovere di disponibilità, attenzione, comprensione, complicità e dialogo», il tutto «per essere espressione di un impegno assunto come servizio».

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