«Responsabilità reciproca, solidarietà e comunione»: sono le parole chiave indicate da Papa Francesco per dare soluzione al dramma della fame nel mondo. A rilanciarle è stato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, alla Conferenza sulla riduzione della fame ospitata il 28 settembre dalla Fordham University di New York.

L’evento - dal titolo “Ridurre la fame: l’appello di Papa Francesco per un nuovo approccio” - è stato organizzato dall’International Political Economy and Development (Iped) e dalla Fondazione Centesimus Annus - Pro Pontifice. L’obiettivo è stato mettere a fuoco le indicazioni più recenti del magistero della Chiesa per garantire il diritto al cibo per tutti. Una meta ancora molto lontana, nonostante i numerosi progressi tecnologici, ha osservato Gallagher nel suo intervento riportato da Vatican News.

Partendo dall’imperativo evangelico «avevo fame e mi hai dato da mangiare», la Chiesa - ha evidenziato l’arcivescovo - «ha sempre difeso il diritto al cibo», che «ha una ripercussione immediata sia sulla sua dimensione individuale sia su quella comunitaria, che coinvolge interi popoli e gruppi umani». Lo affermava già Benedetto XVI nel suo messaggio per la Giornata dell’alimentazione del 2007; dieci anni dopo Francesco nel suo intervento alla Fao, nella stessa ricorrenza, sottolineava le implicazioni del dramma della fame che colpisce ancora oggi 821 milioni di persone e che sono collegate ai cambiamenti climatici, alle fonti di energia pulita, alla gestione delle migrazioni, al commercio e alla cultura dello scarto. «Quest’ultima sfida – ha osservato il “ministro degli Esteri” della Santa Sede – è profondamente connessa con altre due gravi questioni che riguardano direttamente la fame e la malnutrizione, vale a dire lo spreco alimentare e il consumo eccessivo» di cibo.

Monsignor Gallagher ha citato le parole del Pontefice argentino quando sottolineava che: «Di fronte all’aumento della domanda di alimenti è indispensabile che i frutti della terra siano disponibili per tutti. Per qualcuno basterebbe diminuire il numero delle bocche da sfamare e risolvere così il problema; ma è una falsa soluzione se si pensa ai livelli di spreco di alimenti e a modelli di consumo che sprecano tante risorse. Ridurre è facile, condividere invece impone una conversione, e questo è impegnativo».

Papa Francesco, ha ricordato il rappresentante vaticano, «raccomandava di rifiutare “soluzioni rapide” per ridurre la fame sacrificando i valori che sono essenziali per la promozione e la protezione della persona umana e dei suoi diritti. E proponeva invece di applicare nelle relazioni internazionali il “principio di umanità” evangelico, auspicando che la diplomazia e le istituzioni multilaterali alimentino e organizzino questa capacità di amare, perché è la via maestra che garantisce non solo la sicurezza alimentare, ma la sicurezza umana nella sua globalità».

«Amare – spiegava ancora Papa Francesco - vuol dire contribuire affinché ogni Paese aumenti la produzione e giunga all’autosufficienza alimentare. Amare si traduce nel pensare nuovi modelli di sviluppo e di consumo, e nell’adottare politiche che non aggravino la situazione delle popolazioni meno avanzate o la loro dipendenza esterna. Amare significa non continuare a dividere la famiglia umana tra chi ha il superfluo e chi manca del necessario».

«L’approccio di Papa Francesco per ridurre la fame - ha concluso Gallagher – non si basa su un semplice sentimento o su una vaga empatia». Piuttosto «è una domanda di giustizia, non una supplica o un appello di emergenza», perché «emergano le soluzioni migliori» in uno scenario internazionale animato da «responsabilità reciproca, solidarietà e comunione».

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