L’obiettivo non è far uscire un documento che «generalmente viene letto da pochi e criticato da molti», ma «propositi pastorali concreti» in grado di «stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni» e soprattutto ispirare i giovani, «tutti i giovani» – ma anche gli adulti – ad una visione positiva del futuro. Aiutarli, quindi, a «frequentare il futuro». Perciò Papa Francesco indica tempi, modi e atteggiamenti ben precisi per portare avanti le discussioni del Sinodo sui giovani, al via da oggi in Vaticano fino a domenica 28 ottobre, affinché questa grande assise sia realmente una occasione di riflessione e di svolta per una Chiesa che appare «carica di fatiche, di problemi, di pesi», specie dopo il riemergere degli scandali di abusi sessuali dell’ultimo anno.

Anzitutto, spiega il Pontefice nel suo saluto alla prima congregazione generale in Aula nuova del Sinodo, serve franchezza nel parlare e umiltà nell’ascoltare; va bene pure criticare, l’importante è che la critica sia «onesta e trasparente» perché così «è costruttiva e aiuta, mentre non lo fanno le chiacchiere inutili, le dicerie, le illazioni». Poi serve uscire dagli «stereotipi» e dai pregiudizi» come quello dei giovani verso gli adulti (troppo noiosi e sorpassati) e degli adulti verso i giovani (troppo inesperti e superficiali). Bisogna anche evitare il rischio del clericalismo, «perversione e radice di tanti mali della Chiesa», e debellare «il virus dell’autosufficienza e delle affrettate conclusioni di molti giovani».

Soprattutto serve «discernimento» che «non è uno slogan pubblicitario» o «una tecnica organizzativa» e tantomeno «una moda di questo pontificato» bensì «un atteggiamento interiore che si radica in un atto di fede». E che quindi «richiede tempi e spazi». Per questo il Papa dispone «che durante i lavori, in assemblea plenaria e nei gruppi, ogni 5 interventi si osservi un momento di silenzio – circa tre minuti – per permettere ad ognuno di prestare attenzione alle risonanze che le cose ascoltate suscitano nel suo cuore, per andare in profondità e cogliere ciò che colpisce di più».

Come nei due precedenti Sinodi sulla famiglia, accompagnati da turbolenze poi proseguite con la pubblicazione della esortazione Amoris laetitiaPapa Bergoglio domanda, anzi pretende dai 267 partecipanti al Sinodo la più totale parresia, «integrando libertà, verità e carità». E anche coraggio, sia «nel prendere la parola» sia «nel farsi voce di tanti giovani del mondo che non sono presenti». 

Il Sinodo «dev’essere un esercizio di dialogo, anzitutto tra quanti vi partecipano», afferma Francesco. «E il primo frutto di questo dialogo è che ciascuno si apra alla novità, a modificare la propria opinione grazie a quanto ha ascoltato dagli altri». Perciò anche se la quasi totalità dei padri sinodali ha preparato il proprio intervento prima di venire «vi invito a sentirvi liberi di considerare quanto avete preparato come una bozza provvisoria aperta alle eventuali integrazioni e modifiche che il cammino sinodale potrebbe suggerire a ciascuno», dice il Pontefice. «Sentiamoci liberi di accogliere e comprendere gli altri e quindi di cambiare le nostre convinzioni e posizioni: è segno di grande maturità umana e spirituale». 

In particolare il Papa concentra la sua attenzione sui veri protagonisti dell’assemblea dei vescovi, i giovani: la Chiesa è «in debito di ascolto» nei loro confronti, come evidenziato nel cammino preparatorio all’assise (durante il quale i due segretari speciali, il gesuita Giacomo Costa e il salesiano Rossano Sala, salesiano, «hanno lavorato generosamente con impegno e abnegazione» tanto da «lasciarci la pelle», scherza Francesco) e dai risultati dei lavori del pre-Sinodo di marzo a Roma. Spesso, annota, i ragazzi e le ragazze «dalla Chiesa si sentono non compresi nella loro originalità e quindi non accolti per quello che sono veramente, e talvolta persino respinti». 

Questo Sinodo allora ha «l’opportunità, il compito e il dovere di essere segno della Chiesa che si mette davvero in ascolto, che si lascia interpellare dalle istanze di coloro che incontra, che non ha sempre una risposta preconfezionata già pronta», afferma il Papa. «Una Chiesa che non ascolta si mostra chiusa alla novità, chiusa alle sorprese di Dio, e non potrà risultare credibile, in particolare per i giovani, che inevitabilmente si allontaneranno anziché avvicinarsi».

Da parte loro i giovani – in particolare i 34 chiamati in aula a rappresentare la loro categoria - non devono tirarsi indietro e offrire il loro specifico contributo. Prima però, raccomanda, «usciamo da pregiudizi e stereotipi» che attecchiscono «con facilità proverbiale» nei rapporti intergenerazionali, «tanto che spesso nemmeno ce ne rendiamo conto». «I giovani sono tentati di considerare gli adulti sorpassati; gli adulti sono tentati di ritenere i giovani inesperti, di sapere come sono e soprattutto come dovrebbero essere e comportarsi».

Ancora, rincara la dose il Papa, «i giovani dovrebbero superare la tentazione di non prestare ascolto agli adulti e di considerare gli anziani “roba antica, passata e noiosa”, dimenticando che è stolto voler ricominciare sempre da zero come se la vita iniziasse solo con ciascuno di loro». E gli adulti dovrebbero anche «superare la tentazione di sottovalutare le capacità dei giovani e di giudicarli negativamente». È questa una cosa che risale al 3000 a.C. - dice - come attesta una scritta trovata su un vaso di argilla dell’antica Babilonia che «la gioventù è immorale e che i giovani non sono in grado di salvare la cultura del popolo». «È una vecchia tradizione di noi vecchi!», aggiunge scherzosamente a braccio.

Nel suo lungo discorso Papa Bergoglio non dimentica di menzionare gli anziani che, «nonostante la loro fragilità fisica, rimangono sempre la memoria della nostra umanità, le radici della nostra società, il “polso” della nostra civiltà. Disprezzarli, scaricarli, chiuderli in riserve isolate oppure snobbarli è indice di un cedimento alla mentalità del mondo che sta divorando le nostre case dall’interno. Trascurare il tesoro di esperienze che ogni generazione eredita e trasmette all’altra è un atto di autodistruzione». 

L’uscita da tutti questi stereotipi insieme ad un ascolto umile e paziente sono «un potente antidoto contro il rischio del clericalismo, a cui un’assemblea come questa è inevitabilmente esposta», puntualizza il Pontefice. «Esso nasce da una visione elitaria ed escludente della vocazione, che interpreta il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire; e ciò conduce a ritenere di appartenere a un gruppo che possiede tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare e di imparare nulla». Per questo, ribadisce ancora una volta Jorge Mario Bergoglio, il clericalismo va considerato a tutti gli effetti «una perversione» nonché «la radice di tanti mali nella Chiesa: di essi – afferma - dobbiamo chiedere umilmente perdono e soprattutto creare le condizioni perché non si ripetano». 

Come già nella  nella messa di questa mattina in piazza San Pietro, richiamando le parole di Giovanni XXIII, il Papa invita i partecipanti al Sinodo a «non lasciarsi tentare dalle “profezie di sventura”», «non spendere energie per contabilizzare fallimenti e rinfacciare amarezze», ma «tenere fisso lo sguardo sul bene che spesso non fa rumore, non è tema dei blog né arriva sulle prime pagine». Non spaventiamoci - è la sua esortazione - «davanti alle ferite della carne di Cristo, sempre inferte dal peccato e non di rado dai figli della Chiesa». 

Infine Francesco parla a tu per tu con i ragazzi: quelli presenti nell’aula vaticana ma anche quelli collegati via web da ogni lato del pianeta e quelli che, in qualche modo, hanno fatto sentire la propria voce. «Li ringrazio per aver voluto scommettere che vale la pena di sentirsi parte della Chiesa o di entrare in dialogo con essa; vale la pena di avere la Chiesa come madre, come maestra, come casa, come famiglia, capace, nonostante le debolezze umane e le difficoltà, di brillare e trasmettere l’intramontabile messaggio di Cristo; vale la pena di aggrapparsi alla barca della Chiesa che, pur attraverso le tempeste impietose del mondo, continua ad offrire a tutti rifugio e ospitalità; vale la pena di metterci in ascolto gli uni degli altri; vale la pena di nuotare controcorrente e di legarsi ai valori alti: la famiglia, la fedeltà, l’amore, la fede, il sacrificio, il servizio, la vita eterna». 

«La nostra responsabilità qui al Sinodo – conclude Papa Francesco - è di non smentirli, anzi, di dimostrare che hanno ragione a scommettere: davvero vale la pena, davvero non è tempo perso!».

I commenti dei lettori