Adulterio e lussuria, entrambi frutto di immaturità ed egoismo e di una concezione del corpo come mero «strumento di piacere». Il matrimonio, «un cammino dall’“io” al “noi”» da condividere in due. La vocazione, quella degli sposi ma anche quella sacerdotale. Dei preti però che desiderano diventare padri che amano il popolo di Dio, non gli «aspiranti al ruolo di prete»: questi alla Chiesa non servono «meglio che rimangano a casa». È scandita da queste riflessioni la catechesi di Papa Francesco nell’udienza generale di oggi in piazza San Pietro, che prosegue il ciclo dedicato ai dieci Comandamenti. In particolare il Papa si concentra sulla “sesta Parola” del Decalogo, «non commettere adulterio», tema già affrontato lo scorso mercoledì, e domanda: «Chi è l’adultero, il lussurioso, l’infedele? È una persona immatura, che tiene per sé la propria vita e interpreta le situazioni in base al proprio benessere e al proprio appagamento». 

E questo vale nel matrimonio ma anche in tante altre situazioni della vita in cui bisogna uscire dal proprio io e abbracciare un noi. «Il cammino della maturazione umana - spiega infatti il Pontefice - è il percorso stesso dell’amore che va dal ricevere cura alla capacità di offrire cura, dal ricevere la vita alla capacità di dare la vita. Diventare uomini e donne adulti vuol dire arrivare a vivere l’attitudine sponsale e genitoriale, che manifesta nelle varie situazioni della vita come la capacità di prendere su di sé il peso di qualcun altro e amarlo senza ambiguità. È quindi un’attitudine globale della persona che sa assumere la realtà e sa entrare in una relazione profonda con gli altri». 

In questo senso la Parola «non commettere adulterio», si riferisce esplicitamente alla fedeltà matrimoniale ma è un messaggio «rivoluzionario» rivolto a tutti: «Ci possiamo domandare: questo comando di fedeltà, a chi è destinato? Solo agli sposi? In realtà, questo comando è per tutti, è una Parola paterna di Dio rivolta ad ogni uomo e donna», dice Francesco. 

Proprio alla luce di queste riflessioni, spiega, è chiaro che «per sposarsi non basta celebrare il matrimonio! Occorre fare un cammino dall’“io” al “noi”: da pensare da solo a pensare in due, da vivere da solo a vivere in due». È un cammino difficile, ma «un cammino bello», assicura Bergoglio. «Quando arriviamo a decentrarci, allora ogni atto è sponsale: lavoriamo, parliamo, decidiamo, incontriamo gli altri con atteggiamento accogliente e oblativo». 

In questo senso «ogni vocazione cristiana» si può definire «sponsale». Lo è anche il sacerdozio «perché è la chiamata, in Cristo e nella Chiesa, a servire la comunità con tutto l’affetto, la cura concreta e la sapienza che il Signore dona». «Alla Chiesa - ammonisce Papa Francesco - non servono aspiranti al ruolo di preti. Non servono, meglio che rimangano a casa... ma uomini ai quali lo Spirito Santo tocca il cuore con un amore senza riserve per la Sposa di Cristo. Nel sacerdozio si ama il popolo di Dio con tutta la paternità, la tenerezza e la forza di uno sposo e di un padre».

Il Papa insiste: «Ogni vocazione cristiana è sponsale, perché è frutto del legame d’amore in cui tutti siamo rigenerati, il legame d’amore con Cristo». E proprio «a partire dalla sua fedeltà, dalla sua tenerezza, dalla sua generosità guardiamo con fede al matrimonio e ad ogni vocazione, e comprendiamo il senso pieno della sessualità». 

«La creatura umana, nella sua inscindibile unità di spirito e corpo, e nella sua polarità maschile e femminile, è realtà molto buona, destinata ad amare ed essere amata», rimarca il Pontefice. «Il corpo umano non è uno strumento di piacere, ma il luogo della nostra chiamata all’amore, e nell’amore autentico non c’è spazio per la lussuria e per la sua superficialità. Gli uomini e le donne meritano di più di questo!». 

Dunque, conclude il Papa, il comandamento «non commettere adulterio», «pur se in forma negativa, orienta alla nostra chiamata originaria», ovvero «l’amore sponsale pieno e fedele, che Gesù Cristo ci ha rivelato e donato».

Dopo i saluti nelle varie lingue, Papa Francesco ricorda che domani la Chiesa celebrerà la solennità di Tutti i Santi e, dopodomani, la commemorazione di tutti i fedeli defunti. «La testimonianza di fede di quanti ci hanno preceduto - dice -, rafforzi in noi la certezza che Dio accompagna ciascuno nel cammino della vita, non abbandona mai nessuno a se stesso, e vuole che tutti siamo santi, come Lui è santo».

 

 

 

 

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