I cittadini torinesi di nazionalità non italiana sono 132.806 su 884.733 residenti. In Piemonte sono 423.506, il 9,7% dei 5.144.440 stranieri presenti in Italia. L’8,2 % dei piemontesi è di religione musulmana, il 9,8% ortodossa. Il 13% degli alunni delle scuole della regione, 76.000, non è italiano, ma di questi il 70% è nato in Italia. Questa è la realtà che emerge dal XXVII Rapporto Immigrazione 2017-2018 di Caritas e Migrantes, presentato ieri. «Nell’ultimo anno in Italia sono arrivati 22.000 richiedenti asilo. L’emergenza sbarchi oggi non c’è più. Per il resto non si vedono grossi aumenti, al massimo abbiamo registrato qualche ricongiungimento famigliare». A ricordarlo è Sergio Durando, direttore della Pastorale Migranti della Diocesi. Sostanzialmente, un fenomeno fermo e come tale ricostruito dai dati. «Il Rapporto - prosegue - questa volta è quindi meno rivolto ai migranti e più alla nostra società. Perché il tema accende nel dibattito fantasmi, paure e pregiudizi con una scollatura tra immaginario e reale».

Parole malevole

Il sottotitolo dell’indagine è «Un nuovo linguaggio per le migrazioni». Su questo tema è intervenuto con toni duri l’arcivescovo, monsignor Cesare Nosiglia ha stigmatizzato il «parlare malevolmente» dei migranti. «Quante voci, minacce, provocazioni abbiamo ascoltato a proposito di immigrati, rifugiati e organizzazioni non governative, dipinti - ha detto - come il nemico contro cui scaricare tutte le ansie e le paure. Quante volte la solidarietà è stata messa in discussione e con lei tutti coloro che fino a ieri pensavano di operare per il bene comune. Ma bene comune e solidarietà stanno alla base della buona politica e della Costituzione».

Invasione?

Il rapporto evidenzia come nel 2017 i tg di prima serata si sono soffermati per lo più sui flussi migratori (40%) «dando l’impressione - ha detto Nosiglia - che ci fosse una vera invasione. Ma più grave è che il 34% dei servizi è stato dedicato a mettere in evidenza la relazione tra immigrati, criminali, e sicurezza. È evidente che ci troviamo di fronte a una emergenza culturale che richiede un intervento strutturato e di lungo periodo».

Paese di transito

Nel corridoio della Pastorale Migranti affollato di volontari e di rappresentanti di associazioni, ieri c’era chi raccontava che i due ragazzi della nave Diciotti che furono destinati a Torino, se ne sono andati. In Francia, con ogni probabilità. «Il nostro è un Paese di passaggio. Sabato e domenica - racconta Durando - abbiamo fatto uno scambio tra le nostre diocesi e la diocesi di Gap. Nel centro di accoglienza di Briancon, che ha 15 posti, hanno già avuto 110 persone. Con loro siamo andati al cimitero vicino a Nevache sulla tomba di un ragazzo minore morto al di là della frontiera... Tutti siamo consapevoli che il flusso c’è, che il desiderio delle persone è di continuare il viaggio. I numeri del rapporto ci dicono che dobbiamo pensare soprattutto a chi è già qui». Il perché è chiaro: «Oggi la preoccupazione deriva dall’abolizione del permesso umanitario prevista dal decreto sicurezza: andrà ad aumentare il numero degli irregolari che vivranno sempre più in marginalità esistenziali. E questo incide sui percorsi di vita. Lo abbiamo visto con chi viveva nelle cantine dell’ex Moi: l’emarginazione incide pesantemente sulla salute fisica e psichica, chi vive in condizioni non più umane crea problemi a tutta la comunità. Che sta bene se le persone che la formano stanno bene».

I commenti dei lettori