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Il governo? Continua a puntare sulle fonti fossili

Il governo? Continua a puntare sulle fonti fossili
E per finanziare il condono fiscale, preleva parte delle risorse stanziate per favorire la decarbonizzazione
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Le fonti fossili sono la principale causa del riscaldamento globale e dell'inquinamento. Continuare a puntare sugli idrocarburi in un periodo in cui i mutamenti climatici sono sempre più evidenti, anche nel nostro Paese, significa andare a sbattere dritti contro un muro. Del tutto illogico anche andare avanti a finanziare le fonti inquinanti con ricchi sussidi. Nel 2016, per dare un numero che renda la dimensione del fenomeno, i sussidi erogati dallo Stato alle grandi compagnie petrolifere sono stati 14 miliardi, in forma diretta o indiretta. Mentre le aziende pagano solo il 10% di royalties per le trivellazioni su terra ferma e il 7% per quelle marine.

Visto il quadro credo non sia più rinviabile una scelta forte che ci faccia gradualmente uscire dalle fonti fossili e ci consenta di procedere spediti sulle rinnovabili, come aveva promesso in campagna elettorale il Movimento Cinque Stelle. Proprio questo è quanto ho sollecitato al ministro Di Maio insieme a Roberto Speranza con un question-time in Aula alla Camera sottoscritto anche dal presidente di LeU Federico Fornaro.

Purtroppo rispondendo alla nostra interrogazione il ministro non ha dato alcuna informazione aggiuntiva, né alcuna risposta netta. Oltre agli slogan sul sostegno all'economia verde e sulla decarbonizzazione, Di Maio non ha detto nulla su come il cosiddetto governo del cambiamento intende attuare, se davvero intende metterla in pratica, la transizione verso un'economia a basso tenore di carbonio. Ci ha detto solo cose che sapevamo già: che il nuovo decreto rinnovabili è in fase di concertazione e che l'ecobonus - misura importante per la riduzione delle emissioni e delle bollette del settore residenziale, nonché per rilanciare il settore dell'edilizia nel segno della qualità - ad oggi è prorogato solamente per un anno dalla manovra. Non una parola sullo scandaloso condono fiscale, che verrà finanziato anche dai proventi delle aste per le emissioni di CO2, che invece dovrebbero essere utilizzati per ridurre le emissioni, sviluppare le rinnovabili o comunque in sostegno dell'ambiente. Non una parola, poi, sul promesso stop alle trivellazioni.

Eppure Di Maio oltre ad essere ministro dello Sviluppo Economico è anche capo politico di un movimento che ha dichiarato più volte, evidentemente per propaganda elettorale, che se fosse andato al governo avrebbe fermato le trivellazioni. E ieri come oggi le piattaforme estrattive rappresentano non solo un rischio per la salute, per l'ambiente e per i nostri mari, ma hanno anche pesanti impatti sulla fauna marina e la pesca. E tutto per soddisfare meno del 10% dei consumi energetici nazionali.

Con il suo imbarazzante silenzio sulle trivellazioni nel citato question-time, il ministro ci ha in sostanza detto che quelle erano solo promesse elettorali, buone per prendere voti, e che ora sono carta straccia. Come lo stop all'Ilva e alla Tap. È finito il tempo della propaganda. Il M5S dovrebbe chiedere scusa per aver preso in giro gli elettori e dovrebbe iniziare a comportarsi da forza di governo. Usando competenza e responsabilità.

Su un tema delicato come quello delle risorse energiche potrebbe iniziare lavorando per un nuovo patto tra Stato, territori e soggetti economici, che abbia come suo primo atto l'adozione del piano delle aree.

* ecologista, deputata di LeU

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