Sessantadue intese Stato-Chiesa nel mondo. L’accordo tra Santa Sede e Cina si inscrive in una secolare linea di dialogo che la Chiesa prosegue a livello planetario con le autorità civili. La facoltà di diritto canonico della Pontificia Università Gregoriana ha censito gli accordi bilaterali vigenti della Santa Sede e li ha divisi in quattro tipologie di intese Stato-Chiese e cioè gli accordi generali, parziali, speciali e per una parte geografica dello Stato. Includendo tutti e quatto i tipi di intesa, la ripartizione per continente e le date delle ratifiche fotografano una strategia mondiale che risale ai primi due decenni del Novecento e si intensifica, per numero ed estensione delle intese, a cavallo tra i due secoli.

«Il fine degli accordi bilaterali della Santa Sede non è strettamente la salvaguardia della libertà religiosa- spiega a Vatican Insider Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed esperto di dialogo con la Cina -. L’obiettivo diplomatico e geopolitico del Vaticano è quello di arrivare ovunque sia possibile ad intese in grado di facilitare l’annuncio del Vangelo, senza che la firma della Santa Sede sull’accordo con le autorità civili comporti un giudizio su quel governo».

La mappa degli accordi bilaterali attualmente in vigore copre aree tra loro diversissime per storia e radicamento della presenza cattolica. In Africa sono 14 i Paesi che hanno raggiunto un’intesa con la Santa Sede. E cioè Benin, Burundi, Camerun, Capo Verde, Ciad, repubblica democratica del Congo, Costa d’Avorio, Gabon, Guinea Equatoriale, Marocco, Mozambico, Repubblica Centroafricana, Repubblica del Congo-Brazzaville, Tunisia.

Nelle Americhe le nazione che hanno firmato un accordo con il Vaticano sono 12: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, El Salvador, Haiti, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana, Stati Uniti d’America e Venezuela. In Asia sono in vigore intese con 11 Paesi. E cioè Azerbaigian, Cina, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Israele, Kazakhstan, Kuwait, Palestina, Taiwan, Timor Est, Vietnam.

In Europa, invece, gli accordi bilaterali vigenti della Santa Sede sono 25. Il vecchio continente, quindi, è quello maggiormente coperto da intese Stato -Chiesa, firmate e ratificate nell’ultimo secolo in Albania, Andorra, Austria, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Estonia, Francia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Monaco, Montenegro, Polonia, Portogallo, Russia, San Marino, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Ungheria.

«Per capire in quale modo la Santa Sede tradizionalmente si muove nei confronti dei vari governi nelle differenti fasi storiche del mondo contemporaneo è utili analizzare gli accordi stipulati dal Vaticano nell’Europa Orientale durante la Guerra Fredda, perseguendo la strategia della Ostpolitik- evidenzia il professor Giovagnoli-. Particolarmente significativo è il percorso che portò all’intesa con la Jugoslavia. Dal punto di vista tecnico tutti gli accordi bilaterali raggiunti nel corso dei decenni sono strumenti giuridici di cui la Santa Sede si avvale per il raggiungimento di scopi specifici. Consentire e favorire in un Paese l’annuncio del Vangelo è un obiettivo di vasto respiro, mentre l’intesa Stato-Chiesa può anche riguardare aspetti più specifici e settoriali come il contrasto al traffico di esseri umani o la salvaguardia ambientali. In alcuni casi, come fu per la Jugoslavia, l’accordo implica anche il riconoscimento di in Paese in quanto tale, in altri casi, come per la Repubblica Popolare Cinese, no».

Ogni situazione è diversa e in ogni situazione la Santa Sede punta a ottenere il massimo possibile senza cedere sull’essenziale, osserva il professor Roberto Morozzo della Rocca, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre e presidente del Collegio didattico in Scienze storiche che ha particolarmente approfondito in numerose pubblicazioni la storia sia civile sia religiosa dei paesi dell’Europa orientale e del Sud Est. E soprattutto il rapporto fra nazione e religione in Russia, Polonia, Jugoslavia, Albania, anche dopo le crisi balcaniche degli anni Novanta del secolo scorso.

«La Santa Sede non concederà mai completamente ad uno Stato la nomina dei vescovi come è accaduto invece per secoli nell’Ancien Régime prima della rivoluzione francese - afferma a Vatican Insider il professor Morozzo della Rocca -. In America Latina, in particolare, Portogallo e Spagna decidevano tutto escludendo Roma dalle decisioni che riguardavano la vita della chiesa nei territori coloniali, a cominciare appunto dalle nomine episcopali». Dopo il Concilio Vaticano II è cambiato per la Santa Sede la maniera di negoziare i trattati. «Da Paolo Vi in poi è mutato il modo di fare», precisa lo studioso. «Pio XI era molto favorevole ai concordati e sotto il suo pontificato ne furono stipulati molti ed erano più che altro garanzie istituzionali. Dopo il Concilio Vaticano II, invece, la Santa Sede rimarca soprattutto l’aspetto di collaborazione Stato-Chiesa evidenziando il concetto di bene comune al posto di quello di tutela ecclesiastica in senso stesso. Il discorso diventa più largo».

Prima del Concilio, dunque, «c’era l’idea di creare, se possibile, una situazione di privilegio per i cattolici», mentre «negli ultimi decenni non è più così e i diritti dei cattolici sono connessi a valori ideali come la libertà religiosa di cui possano poi fruire tutti i cittadini di una nazione e non solo i cattolici». Insomma, si passa dalla ricerca di un qualche privilegio al raggiungimento di garanzie per tutti.

Dagli anni Sessanta in poi c’è stato un passaggio epocale, un cambiamento. «Dopo il Concilio, da Paolo VI in poi i concordati sono diventati sguardi sulle società intere, prima erano patti giuridici tra istituzioni e basta- conclude Morozzo della Rocca-. Oggi l’insieme degli accordi bilaterali vigenti della Santa Sede riflettono il modo in cui la Chiesa si rapporta al mondo».

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