Marg bar Amrica!. Morte all’America! Ore 10 del mattino, stazione della metro Taleghani, centro di Teheran. Gli slogan sono quelli di sempre, l’invocazione all’annientamento degli Stati Uniti e di Israele che accompagnata dal falò delle rispettive bandiere si compie ogni 4 novembre per commemorare la presa dell’ambasciata a stelle e strisce nel 1979. Ma oggi, nel corteo organizzato come ogni anno dall’Organizzazione della propaganda islamica, c’e una rabbia diversa, retorica e orchestrata secondo copione ma più attuale. L’ombra cupa della seconda e più pesante ondata di sanzioni in vigore da domani (stamattina per chi legge) grava da giorni sulla capitale e sul Paese, un countdown da chiamata alle armi per gli irriducibili e da corsa al bancomat per tutti gli altri.

«Resisteremo, insciallah!» giura un uomo sui quaranta appena sceso dal pullman che si accoda all’infinita doppia fila parcheggiata sul laterale viale Moffateah. Arrivano a centinaia, i bambini delle scuole in tenuta da karate o in divisa militare, le studentesse con il lungo chador nero d`uniforme, gli impiegati e le impiegate rigorosamente separati ma tutti con il cartello «Down with Usa» che moltiplica la scritta, ancora ben visibile dopo quasi otto lustri, sulla fiancata dell’edificio in cui i sostenitori di Khomeini diedero l`assalto al Grande Satana.

Sabato sera il leggendario generale Soleimani ha scritto su Instagram «Io ti affronterò», rispondendo alla minaccia di Trump, e oggi il suo esercito popolare è qui, riceve dalle mani degli organizzatori un’abbondante scodella di adassi, la zuppa di lenticchie offerta a tutti i partecipanti, e marcia avanti e indietro su corso Taleghani, «Amadeim!», siamo pronti!

«Non ci aspettavamo nulla, è la solita America che sosteneva lo Scià prima e poi Saddam Hussein» incalza un signore sui sessanta, barba, camicia marrone abbottonatissima e ciabatte. Alle sue spalle gli studenti srotolano lo striscione «We are undefeated», siamo imbattuti.

A dire il vero la preoccupazione che la realtà di un Paese da 80 milioni di abitanti sia un po’ diversa da questo corteo di centinaia di migliaia di persone agguerritissime non turba solo il sonno della classe media e medio alta di Teheran. «Questa volta gli Stati Uniti fanno sul serio» ammette un funzionario governativo in sede molto separata. Per una volta i giornali del 4 novembre non parlano dell’archetipo Stati Uniti ma di un avversario concreto che, a torto o a ragione, sta scommettendo sull`implosione sociale di un Iran già gravato dall`inflazione alle stelle e da un 2018 marchiato dagli scioperi dei camionisti, degli insegnanti e dei commerciati strangolati dalla svalutazione del rial.

«Trump insiste e l`Europa resiste» titola il riformista Scharq, un quotidiano praticamente introvabile tra le fila dei manifestanti di Taleghani. Anche Iran, la testata governativa più vicina al presidente Rouhani, scommette sul potenziale assist di Russia e Ue enfatizzandone la distanza da Washington. Ma sotto il braccio di quelli che sventolano la resistenza a oltranza si scorge piuttosto Kayhan, il foglio dei falchi, dove oltre al vaticinio della Guida Suprema sul presunto prossimo tracollo a stelle e strisce si auspica addirittura il rilancio, l’abbandono di qualsiasi prossimo venturo tavolo negoziale, à la guerre comme à la guerre.

I toni, dalla piazza alla tivù, si alzano fino a sera, con il buio la città si avvolge di nuovo nell’ansia mesta di questi ultimi giorni. «Tempo un paio d’ore e invece di 15 mila rial ce ne vorranno 50 mila per comprare un euro» confida a bassa voce il custode della moschea dell’Imam Zade Saleh, nel mercato ortofrutticolo di Tajrish. Il conto alla rovescia è arrivato alla fine.

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