Solo il Lambro poteva piegare don Antonio Mazzi. Solo questo fiume che è esondato ancora una volta una settimana fa allagando la Comunità Exodus, poteva costringere il prete dei tossici come lo conoscono a Milano dal 1984, a dire addio a questa bella cascina con i prati pettinati dove si coltivano pure i mirtilli e dove vivono in 80, tutti ex tossici sulla via della redenzione dopo essere passati da ogni tipo di dipendenza che si possa immaginare e pure qualcuna inimmaginabile. «Sì ce ne andiamo. Ma potrebbe essere un’opportunità per noi e per Milano. A Rogoredo potremmo sistemare la Cascina San Nazzaro. È vicino al boschetto della droga. Sarebbe una cosa straordinaria. Sarebbe come tornare in prima linea», dice d’un fiato questo prete veronese di 89 anni, diventato sacerdote 52 anni fa, laurea in filosofia, specializzazione in psicologia e psicopedagogia, negli Anni Settanta i primi stages nei rehab degli Stati Uniti e poi non si è più fermato.

«Ho parlato con il sindaco Giuseppe Sala. Mi ha detto che vorrebbe trovare una soluzione prima della fine del suo mandato. Qui il contratto scadrebbe tra sei anni. ma è chiaro che non sono più tranquillo nemmeno io», ammette don Mazzi mentre racconta delle folate di vento che gli han tirato giù sei alberi dentro la cascina, del tetto degli uffici volato via per le folate di vento, dei ragazzi che dormono tutti a piano terra e che no, non si può più vivere con un orecchio al fiume pronti a scappare se fa la voce grossa. «Lo vediamo. Ci passa proprio accanto. Quando è grosso fa paura».

Don Mazzi non ha paura di niente. Figuriamoci di ricominciare da un’altra parte. Fosse pure a un passo dal boschetto dell’eroina dove arrivano mille clienti al giorno da tutta la Lombardia e pure da lontano. I bulldozer della polizia sono entrati già decine di volte a tirar giù le catapecchie dove ci si buca con 5 euro ma a volte ne bastano 2 e non è cambiato niente. Le retate oramai settimanali hanno dato lo stesso effetto. Come il muro, l’ultima trovata, costruito per evitare che i tossici rotolino sui binari della ferrovia lì vicino e un po’ per tenerli a bada. Don Mazzi la prende di petto come sempre: «Mi sono opposto al muro in ogni modo. I muri non servono a niente. Bisogna ascoltarli questi ragazzi. Da noi non ci sono nè muri nè cancelli. Se vuoi te ne vai e se torni dopo tre giorni ti ripigliamo. Due terzi di loro hanno già tentato il suicidio. Non dobbiamo dirgli cosa non devono fare. Devono solo imparare la poesia e la fatica della vita».

La «Cascina degli adolescenti» don Mazzi ce l’ha già tutta in testa. Adesso bisogna capire come fare il contratto con il Comune, stabilire l’affitto o qualche altra formula, vedere chi paga la ristrutturazione e i tempi per iniziare questa nuova sfida. Don Antonio Mazzi a 89 anni ha già messo il turbo: «Io non penso che la politica si rivolga a noi perchè le ha fallite tutte sul boschetto di Rogoredo. Né credo che vogliano lavarsi le mani. Quello di Milano è un Comune attento. Io sono un prete, mi piace di più pensare che questo sia il riconoscimento del lavoro che abbiamo fatto fino a qui».

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