Boubacar 10 anni, Peter 12, Narama 8, Moussa 15, Maria 13, Vincent 12…. sono solo alcuni dei nomi e delle età di un gruppo molto originale di fotografi. Fanno parte di un progetto ideato dal cardinale Gianfranco Ravasi e il “Cortile dei Gentili” del Pontificio Consiglio per la Cultura che ha visto protagonisti ragazzini delle periferie di Bamako (Mali) e Nairobi (Kenia). Dall’inizio dell’anno, sotto la guida esperta di due professionisti quali Mohamed Keita e Marco Pieroni, studiano l’arte della fotografia e immortalano scene delle proprie realtà sociali, esprimono le loro emozioni, comunicano un’immagine dell’Africa bottom-up del tutto inaspettata. 

Dalle loro esperienze è nata Scatti Liberi. L’Africa negli occhi dei bambini”, la prima mostra fotografica interamente realizzata da bambini. Il progetto prende forma nella mente di Ravasi quando il cardinale entra in contatto con la storia di Mohamed Keita narrata nel testo Il Bagaglio dedicato al fenomeno dei minori stranieri non accompagnati. Il giovane ivoriano, costretto ad abbandonare il suo Paese a soli 13 anni a causa della guerra civile, giunge in Italia dopo un viaggio drammatico e lungo. Da noi, scopre la vocazione alla fotografia e, dopo anni di studio e lavoro, decide di tornare in Africa e aprire il laboratorio “Kene” per mettere a disposizione dei bambini di Kanadjikila, un quartiere alla periferia di Bamako, in Mali, le sue competenze, stimolando professionalità e contribuendo a favorire opportunità di crescita e di lavoro. 

Per Ravasi, il laboratorio “Kene” e il suo gemello “Nafasi”, nel frattempo sorto nella periferia di Nairobi sotto la supervisione del fotografo professionista Marco Pieroni e la cura editoriale di chi vi scrive, sono gli strumenti ideali per promuovere «un racconto differente del fenomeno migratorio e del sud del mondo, che rifiuta l’Africa dei luoghi comuni, dei pregiudizi e delle strumentalizzazioni». 

Incontriamo il cardinale Ravasi proprio a ridosso del vernissage della mostra che si aprirà domani, giovedì 15 novembre, alle 19, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, alla presenza del porporato, l’europarlamentare Silvia Costa, madrina del progetto, e i due fotografi Mohamed Keita e Marco Pieroni, e resterà aperta fino al 25 novembre.

Eminenza, come nasce l’idea di lanciare una mostra itinerante interamente realizzata da bambini africani, quale è l’idea alla base del progetto e a cosa punta? 

«L’idea della mostra, in realtà, è nata con il Cortile dei Gentili, in un secondo momento. Prima è sorto il progetto culturale: volevamo offrire una possibilità di riscatto sociale e professionale a bambini in Africa, un’alternativa concreta alla vita di strada. Poi siamo venuti a conoscenza della storia di Mohamed Keita e abbiamo pensato di realizzare il progetto utilizzando la fotografia: come le altre sette arti, anche la cosiddetta ottava, è un linguaggio universale, che non conosce barriere linguistiche e culturali. Per mezzo della lente di una macchina fotografica i bambini possono esprimersi liberamente, mostrare il mondo che li circonda attraverso i loro occhi, dare voce ai loro sogni, al loro cuore. Io sono convinto che ogni percorso pedagogico debba educare alla creatività e stimolare nuove prospettive e sfumature personali. Così è partito “Scatti Liberi” e con esso l’idea di organizzare una mostra e portarla in Italia e all’estero. Le foto in esposizione raccontano una bella storia, e lo fanno meglio delle parole».

Lei è rimasto molto colpito dalla storia di Mohamed Keita. Partito bambino dalla Costa d’Avorio, è stato capace di fare un viaggio a ritroso per amore dei giovani e dell’Africa, e stabilire laboratori fotografici per ragazzini in contesti di disagio sociale. La sua storia può essere uno strumento efficace per una contro narrazione del fenomeno migratorio e del continente africano?

«Quella di Mohamed è una storia di coraggio, e soprattutto di amore. Amore per la sua terra e amore per la sua professione. È questo tipo di sentimento che dovremmo coltivare e difendere, perché motore di cambiamento. Non dimentichiamo che nessuno desidera abbandonare la propria casa e i propri affetti. Nessuno desidera perdere o rinnegare le proprie radici. Il percorso all’inverso di Mohamed prova proprio questo, e dimostra quanto spesso le percezioni comuni sui fenomeni migratori siano errate».

Che impressioni ha ricevuto dalle foto realizzate dai bambini-fotografi maliani e keniani? 

«Le fotografie sono straordinarie, è difficile credere che le abbiamo scattate dei bambini così piccoli. La loro bellezza tuttavia non sta nella mera realizzazione pratica, ma nella storia che raccontano, nel modo in cui sono state realizzate. A noi forse i paesaggi sembreranno desolati, gli ambienti degradati, gli sguardi affranti. Ma per i piccoli autori delle foto quei contesti sono luoghi in cui giocare, gli ambienti sono casa, gli sguardi sono amici. C’è una foto che mi ha colpito particolarmente, che ritrae un bambino con il viso rigato di lacrime. È un’immagine struggente. Ma Cynthia, la bambina che l’ha scattata, non voleva certo enfatizzare il dolore o suscitare sentimenti di pietà con quella foto; ha solo immortalato un amico, durante un capriccio, come accade spesso a tutti i piccoli di quell’età. La forza di queste fotografie sta proprio in questo. Non è l’Africa vista attraverso gli occhi occidentali. Non ci sono strumentalizzazioni. C’è solo la verità».

Quando ho condotto le interviste ai bambini-fotografo, ho percepito in loro la gioia per la scoperta di uno strumento come le fotografia che può fornirgli l’occasione per elevarsi all’arte e al contempo di trovare un impiego…

«Questo è un aspetto di cui andiamo molto fieri. I ragazzi hanno sperimentato un mezzo che non sospettavano di amare, lo hanno apprezzato e pensano di continuare ad utilizzarlo. Mi hanno colpito le parole di alcuni bambini che dicevano «Studierò e troverò lavoro come fotografo nei matrimoni», altri che pensavano al sogno di fare i foto-reporter per denunciare i mali sociali dei loro Paesi. La mostra, oltre al valore artistico, punta a promuovere un sostegno permanente a questi ragazzi e ad altri, attraverso la vendita delle foto, perché il laboratorio non resti un bel momento isolato, ma prosegua e sia un seme che porta molto frutto. Tutte le fotografie in mostra potranno essere acquistate e l’intero ricavato sarà destinato a sostenere e finanziare i laboratori fotografici per i ragazzi in Mali, in Kenya e in altri Paesi».

I commenti dei lettori