Israele va verso il voto anticipato, ma il premier Benjamin Netanyahu spera ancora di fermare la corsa della crisi. Il summit di questa mattina fra Netanyahu e il ministro dell’Educazione Naftali Bennett si è concluso con una rottura definitiva. Bennett ha chiesto che venisse affidato a lui il ministero della Difesa, preso a interim dal premier dopo le dimissioni di Avigdor Lieberman, ma non è riuscito a convincere il partito del primo ministro, il Likud. Il ministro delle Finanze Moshe Kahlon ha posto il veto e a questo punto fonti all’interno del governo hanno detto che il voto era inevitabile e la data della consultazione sarebbe stata annunciata domani.

Poco dopo la fine del summit, però, Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione e chiesto con tutte le forze che non si vada al voto anticipato. “Ho esortato i ministri – ha spiegato il premier – a non far cadere un governo di centro-destra, a non ripetere lo storico errore del 1992, quando la caduta di un governo di centrodestra permise alla sinistra di andare al potere e portò al disastro degli accordi di Oslo”. Senza l’appoggio di Bennett però è difficile che Netanyahu riesca a formare una maggioranza per continuare a governare.

La crisi è stata innescata dagli ultimi scontri con Hamas, lo scorso weekend. Dopo l’uccisione di un comandante islamista e di un colonnello dell’esercito israeliano all’interno della Striscia, Hamas ha reagito con il lancio di 460 razzi in meno di due giorni. L’aviazione israeliana ha risposto con raid massicci ma questo non è bastato al ministro della Difesa Lieberman che ha chiesto una azione di terra. Quando Netanyahu ha raggiunto un cessate-il-fuoco si è dimesso per protesta, assieme a tutti i ministri del suo partito, Yisrael Beiteinu. Al premier restava allora un maggioranza di un solo il voto, ma dipendeva dall’appoggio del partito di Bennett, Habayit Hayehudi, che oggi lo ha negato.

ll premier ha deciso di assumere l’incarico di ministro della Difesa a interim ma la rottura era più profonda, fra le due anime della maggioranza. Quella di centrodestra del Likud punta a un compromesso con Hamas in modo da arrivare a un cessate il fuoco che metta in sicurezza le città del Sud di Israele senza dover ricorrere a una sanguinosa operazione di terra all’interno della Striscia. La destra religiosa guidata da Lieberman vuole invece un’azione massiccia, per decapitare la leadership islamista e “pacificare” Gaza con la forza.

Due eventi hanno rotto l’equilibrio. Il versamento da parte del Qatar di 15 milioni di dollari in contanti a Hamas, per il pagamento degli impiegati pubblici nella Striscia, la scorsa settimana e il cessate il fuoco dopo le 36 ore di battaglia e morti fra domenica le lunedì. “E’ una capitolazione di fronte al terrorismo”, aveva protestato Lieberman. Ma la spaccatura fra Netanyahu e Lieberman ha anche implicazioni strategiche regionali. Il premier punta a un accordo con Hamas, attraverso la mediazione dell’Egitto, per isolare l’Autorità nazionale palestinese guidata dal presidente Abu Mazen e spingere la leadership di Ramallah ad accettare il piano di pace americano-saudita.

Il Cairo sta gestendo da un anno la crisi con forti pressioni su Hamas perché accetti il cessate-il-fuoco permanente. Il Qatar si è inserito con l’aiuto finanziario, approvato da Israele, per spingere gli islamisti al compromesso ma ha fatto infuriare Abu Mazen. Il raiss palestinese ha infatti sospeso ogni trasferimento di denaro nella Striscia finché Hamas non starà ai patti e cederà il controllo di Gaza all’Anp.

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