Nella Gerusalemme che da decenni è attraversata da tensioni, conflitti, violenze, c’è chi pazientemente, si impegna a costruire pace rammendando legami lacerati, cercando vie di riconciliazione, dissipando incomprensioni, abituando le giovani generazioni alla pratica di rapporti fraterni. È un lavoro fine, quello della pace a Gerusalemme. E coinvolge cristiani, musulmani ed ebrei. Fra questi operatori di pace vi sono nove suore missionarie comboniane. Sette vivono a Gerusalemme Est, nel quartiere di Betania. Qui sorge la loro casa e l’asilo che hanno fondato 50 anni fa, una struttura scolastica (dipendente dal ministero dell’Educazione palestinese) che per decenni ha accolto i bambini arabi – cristiani e musulmani – del circondario. Responsabile del progetto educativo è suor Anna Maria Sgaramella, da 20 anni missionaria in Medio Oriente (Egitto e Terra Santa), impegnata anche nella Pastorale giovanile e nell’Animazione Missionaria del Patriarcato Latino di Gerusalemme. 

Il progetto educativo

«Il giardino dove giocano i nostri piccoli alunni confina con il muro di separazione fatto costruire dallo stato di Israele: è una struttura imponente che abbiamo cercato di abbellire con murales colorati», racconta. «Purtroppo, da quando è stato costruito, molte famiglie hanno via via rinunciato a portare qui i loro figli a causa delle difficoltà legate agli spostamenti: avrebbero infatti dovuto percorrere molti chilometri per arrivare. Due mie consorelle hanno deciso di vivere al di là del muro, per continuare a prendersi cura della popolazione palestinese e offrire assistenza nei villaggi beduini». Attualmente l’asilo è frequentato da oltre 50 bambini del quartiere al di qua del muro: in grande maggioranza sono musulmani dal momento che le famiglie cristiane hanno preferito trasferirsi altrove. «Il nostro progetto educativo si propone trasmettere ai bambini valori fondamentali. Ci impegniamo molto per sviluppare in loro sia il senso della fraternità, dell’accoglienza e dell’accettazione della diversità, sia la capacità di rifuggire ogni forma di violenza. Pensiamo sia anche necessario sviluppare una cultura del “nostro” e quindi cerchiamo di educare alla responsabilità verso l’ambiente e la cosa comune. In questo quartiere riscontriamo grande solidarietà verso chi è nel bisogno: cristiani e musulmani si aiutano e si sostengono gli uni gli altri». 

La maestra musulmana

Per portare avanti questo progetto educativo le suore possono contare su due maestre di fede islamica: «Lavoriamo insieme con il medesimo obiettivo, c’è una felice intesa tra noi, le relazioni sono molto amichevoli», dice la suor Anna Maria. Alle sue parole fanno eco quelle di Nermeen Sabet: musulmana, 35 anni, sposata e madre di tre figli, insegna nell’asilo da sette anni: «I rapporti con le suore sono familiari, ci aiutiamo e sosteniamo, anche nei momenti di difficoltà personali. Quando iniziai a lavorare qui mio marito fece qualche resistenza, poi però il rapporto con le suore gli ha fatto superare i pregiudizi nei confronti dei cristiani. Mi piace molto prendermi cura dei bambini: contribuire a sviluppare in loro atteggiamenti giusti nei confronti della vita è per me fonte di grande soddisfazione». Nermeen si dice convinta che l’istituzione scolastica possa svolgere un ruolo decisivo nella formazione di personalità capaci di vivere insieme rispettando le differenze culturali, religiose o politiche. «Spesso la scuola é il luogo nel quale si impara a crescere nella conoscenza e nella stima del prossimo. I nostri piccoli alunni vivono insieme in amicizia, senza percepire la diversa appartenenza religiosa. La scuola tuttavia può anche rafforzare pregiudizi e atteggiamenti difensivi o offensivi soprattutto nell’ambito della relazione tra palestinesi ed israeliani».

La fraternità e la pace

Nermeen, che vive nel quartiere di Ras el Amud, abitato da musulmani e cristiani, racconta: «Intrattengo serene relazioni con i cristiani, ci scambiamo gli auguri in occasione delle rispettive ricorrenze religiose e condividiamo la vita del quartiere. Ho frequentato scuole cattoliche, gestite da religiose, e ho avuto modo di stimare i cristiani e di avere amiche cristiane. Parlando in generale, mi pare che le persone siano poco propense a dialogare di religione anche per non dare l’impressione di voler convertire l’interlocutore». Nermeen è persuasa che le persone autenticamente religiose (ebree, cristiane e musulmane) che vivono insieme in pace possano insegnare al mondo l’amore per il bene e mostrare, con l’esempio, «che siamo tutti uguali. I veri credenti possono, insieme, indicare i valori che li uniscono e aiutare a superare l’individualismo, che reputo la causa di molte divisioni: è la fraternità che può assicurare la pace».

Il coinvolgimento delle famiglie

Le suore hanno voluto coinvolgere i genitori degli alunni nell’opera educativa organizzando diverse iniziative: «Desideriamo promuovere e incoraggiare il passaggio da un approccio offensivo-difensivo nei confronti dell’altro ad un approccio accogliente e benevolo», sottolinea suor Anna Maria. «È un mutamento di mentalità non facile, ma indispensabile. Mi è sempre sembrato molto vero ciò che dissero anni fa alcune donne palestinesi ed ebree che lavoravano insieme per la pace: “chi arma i nostri figli siamo noi”. Intendevano affermare che se gli adulti vivono nella convinzione che l’altro sia un nemico, difficilmente i giovani potranno coltivare ideali di pace. Devo dire che le famiglie dei nostri alunni ci sono molto grate per l’educazione che assicuriamo ai loro figli e partecipano volentieri agli incontri da noi organizzati». 

Dialogo interreligioso

Suor Anna Maria è anche membro dell’Eljia Theological Institute (fondato dal rabbino Alon Goshen): è un istituto interreligioso – del quale fanno parte cristiani, musulmani ed ebrei residenti a Gerusalemme e nei dintorni – che organizza periodicamente seminari e convegni aperti a tutti e una summer school – dedicata a temi teologici e spirituali – alla quale partecipano anche studenti provenienti dall’estero. Ogni ultimo giovedì del mese, inoltre, i membri dell’Istituto si riuniscono per pregare insieme per la pace in diversi luoghi di Gerusalemme invitando amici e conoscenti. «Fra le molte attività promosse dall’Istituto – dice suor Anna Maria – quella che reputo più feconda è proprio la preghiera per la pace: essa è il “luogo” in cui cadono molte differenze ed è espressione di quell’unità spirituale che ricerchiamo. L’armonia sociale è un traguardo ancora lontano, ma coltivare l’amicizia e l’armonia a livello spirituale è possibile sin da ora e può portare buoni frutti». 

Essere ponti

«Noi suore sentiamo di essere “ponti” tra israeliani e palestinesi», conclude. «Il fatto stesso di vivere a ridosso del muro ci porta a fare questa esperienza poiché ci confrontiamo sia con le famiglie palestinesi sia con i soldati israeliani che prestano servizio vicino alla scuola: abbiamo anche voluto invitare nella nostra casa uno di questi soldati e una famiglia israeliana per meglio comprendere la loro esperienza umana. Pur non rinunciando a denunciare le ingiustizie di cui siamo testimoni, la nostra scelta è quella di non schierarci né dalla parte degli uni né dalla parte degli altri ma di lavorare all’educazione delle giovani generazioni e cercare di tessere legami fraterni fra le persone».

 

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