Una mamma disoccupata, con il suocero, per due anni ha fatto prostituire i suoi bambini. Il verbo “prostituire” non è adeguato. Ma altri, non ne trovo. Né li ha trovati il giudice di Catania che li ha fatti arrestare per «induzione alla prostituzione minorile». Insieme a loro, c’era un carabiniere, e di lui il nome si sa: Mario Schiavone.

I bambini sono piccolissimi. Hanno 3 anni, 4 anni e 7 anni. Hanno trovato la forza di parlare quando gli assistenti sociali li hanno tolti alla famiglia. Due in una casa famiglia e uno in affido. La denuncia l’hanno fatta gli operatori della casa famiglia.

C’è una parola che viene sempre più spesso associata a storie indicibili: degrado.

Spesso, la parola va insieme alle fotografie, e alle riprese video, di luoghi non luoghi: discariche, con mura intorno a far finta che si tratti di una casa. E spesso, queste storie indicibili vengono allo scoperto dopo anni.

Anni?

Anni in cui gli assistenti sociali non si azzardano a intervenire, forse persino a entrare?

Anni in cui i vicini tacciono, perché vivono nelle stesse intollerabili condizioni? Perché temono ritorsioni?

Quasi sempre, tranne immagino in questa tragedia assoluta di Catania, si sente dire «poveretta, non è colpa sua, lo Stato deve intervenire, è colpa della povertà e della ignoranza». Gli assistenti sociali sarebbero intervenuti prima, subito, in tempo, se la retorica della bontà non fosse così potente, adesso?

Serve coraggio a togliere i figli a una madre. Anche se li fa vivere in una discarica. Anche se girano voci tremende, nel quartiere. Mi viene da dire che di questo coraggio, non possiamo più fare a meno. Perché temo che ci siano molte altre storie come questa.

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