I prodotti alimentari italiani rischiano un nuovo stop all’Onu, e la chiave per evitarlo potrebbero essere la UE e la Francia, che dichiara a La Stampa di essere disposta ad aiutarci.

Il 27 settembre scorso al Palazzo di Vetro si è svolto un vertice sulle malattie non trasmissibili, dove si è discusso l’impatto sulla salute delle abitudini alimentari. Roma temeva che l’Organizzazione mondiale della sanità facesse imporre misure come i semafori per cibi con alte soglie di grassi, sale e zucchero. Ciò avrebbero danneggiato prodotti tipici del nostro paese, come grana, salumi, Nutella. La diplomazia italiana aveva risposto, negoziando un linguaggio che evitava danni ad un settore che per la nostra economia vale oltre 40 miliardi di euro all’anno. Ora il problema si ripropone, sotto un’altra forma.

Nel 2006 Oslo e Parigi hanno lanciato la Foreign Policy and Global Health Initiative, un gruppo di cui fanno parte Norvegia, Francia, Brasile, Indonesia, Senegal, Sudafrica e Thailandia. Ogni anno questi membri dell’Onu si coordinano per attirare l’attenzione su questioni relative alla salute nel campo della politica estera, e promuovono risoluzioni all’Assemblea Generale. Il nuovo testo è in discussione ora nella Seconda Commissione, dovrebbe essere votato a dicembre, e contiene una frase che ha allarmato Roma, perché farebbe rientrare dalla finestra i provvedimenti che non erano passati a settembre dalla porta del vertice sulle malattie non trasmissibili. Il ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato una nota in cui dice di essere «al fianco della Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Onu nel difendere il Made in Italy e le nostre tradizioni alimentari da un nuovo attacco portato avanti da un gruppo di Paesi».

Linguaggio pericoloso

Secondo fonti coinvolte nell’iniziativa, il linguaggio che preoccupa Roma è stato introdotto dal Brasile, ed è ancora in fase di negoziato. Un membro autorevole della missione francese al Palazzo di Vetro ha spiegato così la situazione a La Stampa: «Al nostro governo la risoluzione va bene com’è, però comprendiamo le preoccupazioni dell’Italia, e siamo disposti a facilitare l’individuazione di un linguaggio che la soddisfi. Per quanto ci riguarda, il negoziato è in corso in sede europea, e se la UE suggerirà modifiche alla risoluzione, la Francia le sosterrà nel gruppo». La soluzione dunque potrebbe dipendere proprio da Bruxelles e Parigi con cui ultimamente Roma non è andata troppo d’accordo.

Una fonte impegnata nell’operazione chiarisce così le differenze: «L’Italia vede questo problema dal punto di vista delle sue aziende, che temono di essere danneggiate, ed è una posizione legittima. Altri paesi, però, la vedono dal punto di vista della salute dei consumatori, e quindi hanno priorità differenti». Il problema è tutto qui: «Se nella comunità scientifica internazionale si consoliderà onestamente il consenso che questi prodotti non sono salutari, alla lunga sarà difficile evitare qualche tipo di regolamentazione. Se invece si tratta solo dell’iniziativa di qualche paese o di qualche lobby, che vuole favorire i suoi prodotti contro quelli di altri, la partita resterà aperta a lungo e ognuno avrà il diritto di difendere i propri interessi».

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