L’Etiopia vive una stagione di grande rinnovamento e fiducia. Le riforme innescate dal nuovo primo ministro Abiy Ahmed Ali, hanno diffuso un grande sensazione di speranza nel Paese, così come nel resto del mondo. Primo capo del governo di etnia oromo (uno dei gruppi più turbolenti e storicamente opposti ai governi), cristiano di confessione protestante, ha fatto intendere fin dal suo insediamento avvenuto nell’aprile scorso, di voler riformare profondamente il suo Paese. Nel giro di pochi mesi, è riuscito a portare a compimento una serie impressionante di misure: in estate è stato il protagonista assoluto dello storico accordo di pace con la vicina Eritrea; ha chiesto e ottenuto che il suo gabinetto fosse costituito al 50% da ministri donna; ha favorito la nomina a presidente della repubblica di Sahle-Work Zewde, unica donna a ricoprire una simile carica in tutto il continente africano. L’incarico assegnato a questo giovane politico all’indomani delle dimissioni a sorpresa del suo predecessore Hailemariam Desalegn, in un periodo di caos assoluto, ha rappresentato una grandissima iniezione di fiducia per questo Paese così importante per l’area e tutto il mondo. 

La Chiesa Cattolica segue da sempre con grande coinvolgimento le strategie per la riconciliazione e la pace sociale dell’Etiopia, come racconta a Vatican Insider padre Hagos Hayish, segretario generale della Conferenza episcopale etiope, come la Chiesa stia vivendo questo momento di grande transizione.

La neo ministra per la Pace, Muferiat Kamil, ha di recente incontrato il Cardinal Berhaneyesus arcivescovo di Addis Abeba. Quali sono le relazioni tra il governo e la Chiesa e quale è il ruolo della Chiesa nella via verso la pacificazione e lo sviluppo del Paese

«La ministra è all’inizio di un mandato molto delicato e ha giustamente ritenuto opportuno incontrare tutti i leader religiosi del Paese. Si è messa all’ascolto e ha mostrato molto interesse per capire a fondo cosa fa la Chiesa cattolica e conoscere le nostre idee. Le relazioni col governo sono regolate dalla costituzione e prevedono collaborazioni dirette in alcuni campi specifici. Per noi lo sviluppo integrale dell’uomo è la base da cui partire per ogni attività e fin dal nostro arrivo in questo Paese, siamo sempre stati impegnati per favorirlo. Siamo una piccola minoranza (1% circa, ndr) ma la nostra presenza è molto radicata. Gestiamo molte scuole, con un numero di oltre 150mila studenti di ogni fede, etnia, stato sociale o cultura. Predichiamo fin dai primi anni dell’asilo il valore di vivere assieme al di là delle differenze. Negli ultimi 25 anni, anche a causa della guerra con l’Eritrea, abbiamo istituito la commissione “Giustizia e Pace”, e lanciato tantissime iniziative per la riconciliazione, alcune delle quali nelle comunità in conflitto tra di loro (di recente ha avuto successo la mediazione tra le comunità Gedeo e Guji nella zona di Hawassa, ndr). La ministra ha molto apprezzato e il fatto di avere ora un membro del governo dedicato alla pace e in collegamento diretto con noi, è un valore aggiunto».

La scorsa estate è “scoppiata” la pace tra Etiopia ed Eritrea, come sta avanzando il processo di pace e come c’entra la Chiesa?

«Prima che scoppiasse la guerra, assieme alle altre religioni del Paese, abbiamo tentato ogni sforzo per frenare lo scivolamento verso il conflitto. Abbiamo partecipato o organizzato molti incontri qui o in Eritrea, ma purtroppo non siamo stati ascoltati e ne è derivata una guerra sanguinosa che non ha portato alcun vantaggio a nessuno. Finita la guerra, abbiamo sempre cercato di contattare il governo eritreo perché favorisse l’apertura dei confini e permettesse la comunicazione tra i due Paesi (molte famiglie di stessi gruppi etnici sono divise da decenni). La Chiesa tutta, anche attraverso l’Amecea (organismo di raccordo delle Chiese cattoliche dell’Africa Orientale), è molto impegnata e il cardinale ha svolto varie visite in Eritrea allo scopo di favorire il dialogo. Ora, finalmente, possiamo dire che la pace è arrivata, i due popoli hanno ripreso a incontrarsi, i confini sono aperti, sono state riattivate le comunicazioni e i trasporti e si respira un’aria di festa»

L’Etiopia sta cambiando molto rapidamente, che giudizio da’ di questo processo di profonda trasformazione? 

«Negli ultimi cinque anni abbiamo intensificato il dialogo con il governo per sollecitarlo a rispondere alle incessanti richieste che venivano dal popolo. La popolazione premeva sempre di più perché venissero avviate delle riforme e finalmente i leader politici hanno compreso e hanno nominato un nuovo primo ministro. Fin da subito è sembrato un segno che il governo volesse veramente impegnarsi nelle riforme e l’impressione è che stia facendo di tutto per implementarle. Ovviamente le riforme ora vanno portate a fondo e noi ci proponiamo di non restare solo a guardare, ma di interagire con il governo per il bene del popolo».

L’Etiopia è uno dei Paesi più ospitali al mondo per i profughi, circa 1 milione di migranti esterni e oltre 2,8 di interni, qual è l’impegno della chiesa cattolica nell’accoglienza? 

«La Chiesa cattolica è stata sempre molto attiva nell’accoglienza. Abbiamo stabilito programmi di assistenza diretta all’interno dei campi dove risiedono sud-sudanesi, somali, e altre etnie ma anche nei campi per gli sfollati interni fuggiti dalle carestie o dai conflitti. L’Etiopia ha questa buona tradizione e credo che dopo l’Uganda sia uno dei Paesi più ospitali d’Africa e del mondo. Noi cattolici, offriamo assistenza sociale e pastorale e abbiamo vari sacerdoti che visitano regolarmente i campi. La scorsa settimana il cardinale è andato assieme ad altri vescovi, leader religiosi e esponenti del governo in un campo nel vicariato di Hawassa. Lì siamo impegnati da tempo in incontri di peace building e per la riconciliazione e la visita del nostro cardinale è stata molto apprezzata»

 

 

I commenti dei lettori