«Dallo scorso giugno, secondo l’Organizzazione delle migrazioni dell’Onu, 800 persone hanno perso la vita cercando di attraversare il Mediterraneo centrale, e il numero di casi non contabilizzati è probabilmente più alto». È la denuncia di Sea Watch, ong tedesca, tra le poche rimaste ad operare in quel pericoloso tratto di mare dopo la chiusura dei porti italiani e, anche, lo spostamento di flussi considerevoli di migranti sulla rotta Marocco-Spagna. Sea Watch mette in relazione il numero di morti con «la chiusura dei porti italiani alle navi civili di soccorso» e con «le politiche dell’Unione europea sui confini e la criminalizzazione dell’aiuto umanitario in mare».

L’Ong ha annunciato proprio oggi, nella Giornata mondiale dei Diritti umani, il ritorno in operazioni in mare della sua nave Sea Watch3, che per circa tre mesi era rimasta sotto sequestro nel porto maltese della Valletta e che era stata «liberata» appena un mese fa. Per farlo, ha lanciato una propria campagna di informazione sui social e sui giornali per sottolineare che «nel Mediterraneo non stiamo vivendo una crisi rifugiati ma una crisi dei diritti umani», come dice Johannes Bayer, che per la Ong di Berlino guiderà la nuova missione in mare della Sea Watch3.

L’Ong critica anche l’Ue per il finanziamento di Paesi terzi per bloccare le partenze dei migranti e per l’appoggio dato alla «cosiddetta Guardia costiera libica».

Nella campagna di informazione di Sea Watch, chiamata #OurDead, in 24 ore verranno pubblicati 800 necrologi, quanti sono i morti in mare da giugno ad ora, con cui vengono ricordate le storie dei migranti, con le loro speranze finite in fondo al Mediterraneo.

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