Neudorf, dove era scomparso e si nascondeva Cherif Chekatt, dista appena pochi minuti di strada da avenue de Normandie, il palazzone di 8 piani circondato dalle teste di cuoio nello stesso momento in cui le forze speciali entravano in azione in rue du Lazaret per l’assalto finale della caccia all’uomo iniziata martedì sera. Pare che lunedì sera, prima di ammazzare a sangue freddo, avesse dormito qui, da un amico.

Siamo nel quartiere di Meinau, estrema banlieue di Strasburgo a mezz’ora di tram dal Mercatino di Natale. Da qui, una casa popolare dopo l’altra senza l’ombra di un addobbo festoso, sono partiti in molti per la jihad in Siria, i fratelli algerini Yacine e Mourad Boudjella, il senegalese Banoumou Kadiakhé, Fouad Aggad del commando del Bataclan. «I giovani sono a rischio radicalizzazione e noi teniamo i nostri ragazzi lontani dagli arabi» spiega un responsabile della grande moschea turca che in un paio d’anni traslocherà nel cantiere da cui sta sorgendo il nuovo mausoleo Eyyub Sultan.

Meinau, come la parte più marginale di Neudorf, è una delle spine che corona il capoluogo alsaziano, 280 mila abitanti di cui la maggioranza ammassati nei ghetti dormitorio a ridosso del centro, la capitale europea. È tra questi casermoni, dove secondo la municipalità vive il 10% degli estremisti con la fiche «S», che le forze dell’ordine hanno cercato l’assassino.

«Nel curriculum non scrivo mai il mio indirizzo vero, mi negherebbero il lavoro a priori» ammette la 25enne Karima rincasando a Neuhof, 20 mila anime e nessuna farmacia, una delle 15 banlieue più dure di Francia dove la disoccupazione è al 50% contro il 5% della ricca Orangerie e le retate si ripetono, l’ultima dopo l’attentato sventato del 2016.

Poco lontano ecco i condomini a schiera di Elsau, il quartiere ceceno, 7000 persone di cui la metà giovani e di fede musulmana. L’unico supermercato è chiuso da anni e si presta allo spaccio tra scheletri di carrelli della spesa. Dietro le finestre a schiera con parabola annessa è cresciuto Khamzat Azimov, marcato con la «S», l’attentatore del maggio scorso a Parigi, vuoto a perdere tra le altalene della speranza e il presidio psicoterapeutico per bambini.

Da almeno 5 anni Delphine Rideau, direttrice del centro contro la radicalizzazione La Maison des adolescentes, mette in guardia la regione, a cui fanno riferimento 3 ogni 4 perquisizioni effettuate nell’Est della Francia. Strasburgo fa tristemente scuola. La vocazione jihadista, nota lo psichiatra Guillame Courduan, «è l’incontro tra un percorso individuale fatto di vulnerabilità e un sistema ideologico che legittima la violenza». Lo spettro di Chekatt combacia con l’identikit.

«Veniva qui con la sorellina piccola ed era un bravo fedele, studiava il Corano, aveva avuto problemi con la giustizia ma poi a una certa età si trova la religione, sono certo che Cherif sia stato usato» ragiona Ali, origini marocchine, custode della grande moschea di Hautpierre costruita due anni fa per far emergere le mille sale di preghiera ricavate nelle cantine dei casermoni di questa banlieue dominata dall’ospedale dove sono ricoverati i feriti di martedì, compreso il reporter italiano Antonio Megalizzi. La popolazione è mista, magrebini, migranti dell’Est, siriani, afgani, 16 mila persone divise a compartimenti stagni tra i blocchi chiamati Maille Eleonore, Maille Brigitte, Maille Karine: trincee abitative con bande di giovani che, al netto di un miglioramento negli ultimi anni, guerreggiano a bordo di auto rubate e poi incendiate.

L’unica stazione di polizia della zona, una delle 18 più pericolose di Francia, fu assaltata anni fa: da allora non si vedono più agenti, solo persone che camminano svelte e altre di sentinella, guardinghe. Un vecchio siriano diretto all’orazione rituale commenta piano, «sono ragazzi perduti tra Internet e droga»: la moschea, videosorvegliata, apre 10 minuti prima della preghiera e chiude 10 minuti dopo per evitare assembramenti. «Ci sono troppi musulmani tutti insieme» bisbiglia Daniel, romeno, arrivato nel 2011 a Strasburgo e ancora in fila con la lettera motivazionale allo sportello del centro sociale Victor Hugo di Schiltigheim, borgata di rifugiati, francesissimi disoccupati, vecchi migranti e nuovi sans papier moltiplicatisi negli ultimi 10 anni tra le case popolari sorte negli Anni 60 per gli operai italiani, spagnoli, portoghesi. Il paesaggio è lo stesso, appartamenti ad alveare dove nessuno conosce il vicino, come quello di Chekatt, e zero negozi, zero palestre, zero cani. Nel 2015 l’impiegato comunale Youssoup Nassoulkhanov, ceceno, timbrò qui l’ultimo cartellino e si arruolò con l’Isis in Siria. In lontananza rimbalzano le sirene: la caccia all’uomo è finita, il silenzio del Mercatino di Natale è dietro l’angolo.

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