Il cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin trascorrerà il Natale con i cristiani iracheni. Ad annunciarlo è stato ieri con una nota da Baghdad il patriarcato caldeo, specificando che il porporato sarà in Iraq dal 24 al 28 dicembre e si recherà anche nella regione del Kurdistan iracheno e nella Piana di Ninive. Il viaggio di Parolin è un nuovo segno concreto della vicinanza di Papa Francesco a una comunità provata da tante sofferenze negli ultimi anni e che il Pontefice stesso ha dichiarato più volte di voler visitare non appena sarà possibile. La presenza del segretario di Stato vaticano in Iraq avrà, però, anche un significato politico in un contesto ancora alle prese con la sfida della difficile convivenza tra le diverse comunità nel dopo Isis: è previsto, infatti, che il segretario di Stato incontri le autorità locali sia a Baghdad sia ad Erbil.

Già lo scorso 24 novembre il cardinale Parolin aveva incontrato in Vaticano il presidente Barham Salih, politico di etnia curda eletto come capo dello Stato in ottobre, mentre il neo-premier sciita Adel Abdul-Mahdi sta cercando da settimane di completare la formazione del suo governo. Nella nota diffusa dalla Sala Stampa vaticana al termine dell’incontro tra Salih e il Papa, tra «le sfide del processo di riconciliazione per favorire l'unità nazionale» era stata ricordata espressamente la questione della presenza dei cristiani, invocando la possibilità reale e completa di un ritorno nelle proprie case per quanti sono stati costretti dall’Isis ad abbandonarle nel 2014. Un tema che certamente riecheggerà anche durante questo viaggio.

Parolin partirà per Baghdad il 24 dicembre, subito dopo la giornata che trascorrerà a Taranto in memoria dei 50 anni dalla visita di Paolo VI all’Italsider. Nella capitale irachena come primo gesto si recherà nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso, dove il 31 ottobre 2010 al Qaeda uccise 46 persone tra cui due sacerdoti durante la celebrazione vigiliare della festa di Ognissanti. Proprio in questo luogo così significativo il porporato assisterà al rito dell’accensione del fuoco, che nella liturgia caldea simboleggia la nascita di Gesù. Poi, alla sera, il cardinale presiederà insieme al patriarca Luis Sako la messa della notte di Natale nella cattedrale di San Giuseppe, nel quartiere di Karrada, il cuore della presenza cristiana a Baghdad.

Il giorno di Natale Parolin resterà nella capitale irachena, dove incontrerà anche alcune realtà caritative locali. Il 26 dicembre si sposterà invece ad Erbil, il capoluogo del Kurdistan iracheno dove tuttora vive la maggior parte dei cristiani fuggiti da Mosul. Da qui il segretario di Stato vaticano si recherà infine nella Piana di Ninive, l’area dove storicamente si concentrava maggiormente la presenza cristiana e dove, dopo la sconfitta dell’Isis, alcuni gruppi di famiglie - grazie anche al sostegno di tante organizzazioni cattoliche di tutto il mondo - hanno cominciato a fare ritorno. Particolarmente significativa in questo senso sarà la liturgia natalizia che Parolin presiederà con il patriarca siro-cattolico Igniatus Yousef III Yonan a Qaraqosh, la principale città della Piana di Ninive, anch’essa per oltre due anni rimasta sotto il giogo dell’Isis.

Sempre riguardo al Natale dei cristiani iracheni va segnalato, infine, che nei giorni scorsi il patriarca caldeo Luis Sako ha inviato al presidente del Parlamento nazionale, Mohamed Halboussi, una lettera nella quale viene chiesto che il giorno di Natale sia riconosciuto come festa ufficiale in tutto l’Iraq. «I cristiani celebrano la nascita di Cristo ogni anno il 25 dicembre - si legge nella traduzione del testo diffusa dal sito Bagdadhope -. Questa festa è diffusa in tutto il mondo, compresi Paesi come la Giordania, la Siria, il Libano, la regione del Kurdistan iracheno e la provincia di Kirkuk».

Sollecitando nel nome del «rispetto che i fratelli musulmani hanno di Cristo il cui nome è menzionato in 93 versi del Sacro Corano» l’approvazione di una legge nazionale in proposito, il patriarca scrive che una scelta di questo tipo «renderebbe felici i cittadini iracheni di fede cristiana incoraggiandoli a rimanere nel Paese e a non emigrare, rafforzerebbe il rispetto per le religioni e avrebbe risonanza a livello internazionale».

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