Secondo me

Gli stadi sono specchio del Paese Il germe del razzismo (purtroppo) è realmente diffuso

Caro Barillà,
ho seguito per anni la mia squadra del cuore in Serie B e C. Ho assistito a non pochi casi di insulti a un giocatore per il colore della pelle, sempre però rivolti agli avversari. Ergo: l’insulto aveva il solo scopo di farli innervosire. Questo a mio avviso non è razzismo, ma mancanza di cultura sportiva. Poi ho assistito a innumerevoli casi di insulti ad arbitri, giocatori e allenatori, avversari e non (bersagli italianissimi), nonché a infinite lamentele per i torti subiti dalla propria squadra (silenzio invece pressoché totale su scelte discutibili a favore dei nostri colori). Aggiungiamo che il gioco del calcio si presta benissimo a interpretazioni e discussioni infinite. Inoltre, muove troppi soldi e interessi. Ecco spiegato il caos odierno.
Come se ne esce? A mio avviso: 1) insegnando cultura sportiva nelle scuole; 2) impedendo l’ingresso allo stadio a chi infrange le regole (che già esistono); 3) sensibilizzando il pubblico negli stadi a sovrastare con gli applausi il tifo «contro» (il 90% degli appassionati segue la partita in modo civile, ma teme la reazione del 10% più «tifoso»); 4) la Var agli specialisti, il campo agli arbitri: separazione netta e regole chiare e non interpretabili; 5) serietà e senso di responsabilità da parte di tutti: il gioco più bello del mondo non deve diventare lo sfogatoio di individui poco raccomandabili.

Buon 2019 a lei e a tutti gli sportivi veri.
Giulio Galli

Caro Galli,
gli stadi sono specchio del Paese e il germe del razzismo, purtroppo, è realmente diffuso. Detto questo, è innegabile che in molteplici occasioni i buu si incastonino in un più ampio problema di maleducazione e antisportività. Sottoscrivo tutte le soluzioni da Lei proposte, aggiungendo la previsione di sanzioni durissime per quei dirigenti, tecnici e calciatori che, con dichiarazioni incaute, alimentano sospetti e polemiche. Qualcuno, tra i protagonisti del pallone, ha accolto con disappunto alcune mie riflessioni pubblicate dopo Juventus-Sampdoria, ma resto dell’idea che se davvero il calcio intende educare i suoi tifosi deve prima estirpare dal suo interno troppi tifosi ineducati.

Antonio Barillà, calabrese orgoglioso e innamorato di Torino, ha rinunciato alla carriera legale per inseguire il giornalismo, sogno di bambino. Prima di approdare alla Stampa ha raccontato il mondo del calcio per Tuttosport e Corriere dello Sport.