Nel primo giorno di un anno carico di anniversari «sensibili» per la Cina - un secolo dal movimento del 4 maggio, trent’anni dalla tragedia di piazza Tiananmen - alcune migliaia di attivisti democratici e localisti di Hong Kong sono scesi per le strade dell’ex-colonia britannica. Ancora una volta, la marcia di Capodanno è stata scandita da slogan contro lo smantellamento delle libertà politiche, le crescenti disuguaglianze sociali, le morbosità che legano l’amministrazione locale con il mondo del business e il governo di Pechino. Poco più di cinquemila i manifestanti, secondo gli organizzatori. Sebbene il Civil Human Rights Front - la sigla che ha organizzato la manifestazione - non sostenga la secessione di Hong Kong dalla Cina, lungo il corteo che si è snodato per le strade dell’isola diversi sono stati i simboli dei movimenti indipendentisti, ma anche le bandiere del Tibet e di Taiwan. Alla vigilia della manifestazione, le autorità di Hong Kong hanno vietato ai manifestanti di esporre nella piazza antistante la sede del governo manifesti e striscioni inneggianti all’indipendenza: considerata «la linea rossa» di Pechino. Una richiesta rispettata dal Civil Human Rights Front, ma la sigla che riunisce diversi gruppi democratici e localisti ha definito il divieto una violazione della libertà di espressione. «Vivere in Cina sotto il Partito Comunista è come stare in prigione» afferma un manifestante alla catena Bloomberg.

Fin da quando l’ex-colonia britannica è stata restituita alla Cina nel 1997, la regione amministrativa speciale è governata secondo il modello «un Paese, due sistemi» che garantisce a Hong Kong ampia autonomia politica, economica, legale e doganale. Il modello negoziato negli Anni 80 da Deng Xiaoping e Margaret Thatcher prevede che fino al 2047 Hong Kong conservi un livello di libertà inimmaginabili nella Repubblica Popolare: pluralismo nei media, stato di diritto e libertà di manifestazione. Negli ultimi anni, in ampi settori della società di Hong kong sta crescendo la preoccupazione che sotto la leadership di Xi Jinping sia in atto una costante erosione di questa autonomia. Quattro anni dopo le manifestazioni del Movimento degli Ombrelli che portarono per 79 giorni all’occupazione delle strade di questo importante hub finanziario internazionale per chiedere elezioni a suffragio universale, negli ultimi mesi sono state diverse le mosse dell’amministrazione di Carrie Lam, chief-executive di Hong Kong, che hanno provocato allarme tra gli attivisti e in diverse capitali occidentali. Lo scorso settembre, per la prima volta dal ritorno di Hong Kong alla Cina, le autorità della regione amministrativa speciale hanno messo fuori legge una piccola forza politica: guidato da Andy Chan e con poche decine di membri, l’Hong Kong National Party si era dato l’obiettivo dell’indipendenza di Hong Kong dalla Cina. Poche settimane dopo, le autorità dell’ex-colonia britannica hanno negato il rinnovo del visto a Victor Mallet, giornalista del Financial Times, che aveva moderato un dibattito con Chan al Foreign Correspondent Club.

Dopo aver dichiarato decaduti almeno sei eletti nel consiglio legislativo per irregolarità nella lettura della formula del giuramento, le autorità di Hong Kong hanno rifiutato candidature per le elezioni locali e suppletive di diversi esponenti democratici perché sostenitori di posizioni indipendentiste. A settembre nove attivisti del Movimento degli Ombrelli - compresi gli accademici Benny Tai e Chan Kin-man - sono andati a processo con accuse barocche di epoca coloniale per cui rischiano fino a 7 anni di carcere.

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