Ci sono nuovi spiragli di speranza per Asia Bibi. Diversi elementi che si muovono attorno alla vicenda della madre cristiana, condannata a morte per blasfemia nel 2010 e assolta dalla Corte Suprema del Pakistan il 31 ottobre scorso, depongono a favore della felice conclusione di una vicenda che tuttora tiene banco nel paese e nella comunità internazionale. Come apprende Vatican Insider da fonti vicine alla famiglia della donna, in poche settimane il caso potrebbe ritrovarsi definitivamente archiviato e la donna iniziare una nuova fase della sua vita.

Segnali incoraggianti giungono dai diversi attori coinvolti, mentre le circostanze sembrano farsi benigne su più fronti: nel sistema giudiziario, nel panorama politico, nell'atteggiamento dei leader religiosi islamici, come in quello dei governi di paesi terzi.

Secondo quanto filtra dalla cancelleria, la Corte Suprema potrebbe emettere il pronunciamento definitivo sul caso di Asia Bibi entro la fine di gennaio. Il Tribunale, secondo una possibilità prevista dall’ordinamento giudiziario pakistano, è chiamato a esprimersi sulla «istanza di revisione del verdetto», presentata dall'accusa alla fine del processo ad Asia Bibi. Senza udienza né dibattimento, la Corte dovrà riesaminare la sentenza emessa il 31 ottobre, per rilevare eventuali vizi formali e sostanziali. Che la Corte rinneghi e capovolga un giudizio che essa stessa ha emesso due mesi fa, in un caso tanto sensibile e di alto profilo, appare decisamente improbabile. Il team dei legali di Asia Bibi «crede al 100% del rigetto di quella istanza». Sarebbe la pietra tombale sul caso e renderebbe Asia, una volta per tutte, una donna realmente libera. Libera di disporre della sua vita.

Fra l’altro la Corte Suprema, proprio per dare al paese un chiaro segnale di tutela dello stato di diritto, ha appena emesso una sentenza “suo motu” imponendo ai governi federali e provinciali di risarcire i cittadini che hanno subito danni di beni e proprietà durante i tre giorni di proteste organizzate dai partiti religiosi all'indomani dell'assoluzione di Asia Bibi. E restano in carcere gli oltre 300 militanti e i leader del gruppo Tehreek-e-Labbaik Pakistan (TLP) come Khadim Hussain Rizvi, organizzatori di quelle manifestazioni violente.

Sul piano politico si rinnovano i segnali positivi offerti dal nuovo governo del leader Imran Khan che appare deciso a tenere la vicenda di Asia Bibi entro i binari della legalità e della giustizia. La “mano pesante” usata sui gruppi come il TLP è stata una mossa coraggiosa. E nei giorni scorsi il primo ministro Imran Khan, in un’intervista alla tv turca Trt World, ha ribadito che «sul caso di Asia Bibi, lo stato non può essere ostaggio di gruppi violenti» e che il governo ha dovuto adottare provvedimenti contro chi non ha accettato il verdetto della Corte Suprema.

L’esecutivo, in queste settimane, non ha smesso di garantire protezione ad Asia e a suo marito Ashiq Masih, per preservarne l'incolumità e metterli al riparo da possibili esecuzioni extragiudiziali. Proseguono, intanto, i contatti con le cancellerie di Paesi occidentali per organizzare l’espatrio di Asia Bibi e della sua famiglia, possibile solo dopo il definitivo via libera della Corte Suprema. Imran Khan, dunque, non sembra temere la sfida lanciata alle istituzioni democratiche da gruppi fanatici che, sulla base di una interpretazione fondamentalista dell’islam, intendono condizionale la vita dello stato.

Ne hanno preso atto, esponendosi pubblicamente, oltre 500 imam, di tutte le correnti di pensiero islamiche, che nei giorni scorsi hanno sottoscritto la “Dichiarazione di Islamabad”. Un altro fattore, quello relativo al clima religioso, sembra dunque diventare favorevole alla soluzione del caso di Asia Bibi. I leader religiosi musulmani hanno detto chiaramente, sotto l’egida del Consiglio degli Ulema del Pakistan, che «nessuno è un infedele» e che «uccidere con il pretesto della religione è contrario ai precetti dell’islam». Il testo condanna fermamente il terrorismo e l’estremismo che strumentalizzano la religione per istigare odio e violenza, e chiede rispetto e pari dignità per tutti i cittadini pakistani, specialmente per le minoranze religiose, vittime di persecuzioni. La dichiarazione cita poi esplicitamente Asia Bibi e chiede che la Corte Suprema si pronunci al più presto, proprio per porre fine alle ingiuste sofferenze di una donna innocente.

Il discorso degli ulema è cruciale perchè ha il pregio di togliere la «copertura religiosa» a quanti hanno invitato a uccidere Asia Bibi e a tutti coloro che in futuro intendono usare la legge di blasfemia come mezzo di oppressione delle minoranze. Anche il cardinale pakistano Joseph Coutts di recente ha elogiato l’impegno dei leader religiosi islamiche che promuovono l’armonia nella nazione. Dopo anni in cui il panorama politico, giudiziario e religioso è stato ostile ad Asia, la nazione sembra aver imboccato una nuova via che potrà portare immensi benefici alla donna e alla sua famiglia.

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