La prima volta è stata una scommessa vinta. Dopo due mesi la seconda manifestazione è una conferma. Il mondo produttivo, per nulla avvezzo alla piazza, lo avrebbe evitato volentieri ma «la situazione è preoccupante e serviva un’altra scossa per far capire da che parte sta il Piemonte, e in generale tutto il Nord che produce», per dirla con le parole degli imprenditori accorsi in piazza Castello. Rispetto al 10 novembre scorso, da parte delle categorie imprenditoriali, produttive e sindacali non c’è stata una vera e propria chiamata alle armi tra tutti gli iscritti, eppure la partecipazione ha superato ampiamente le aspettative. In prima fila i presidenti delle associazioni, ma poi anche altri nomi di spessore del mondo torinese.

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«Chiediamo al governo di fare la scelta giusta - spiega il presidente dell’Unione Industriale di Torino, Dario Gallina -. Sono contento che la Lega prenda una posizione più marcata, una posizione di ragionevolezza guardando la realtà. Capisco le posizioni del Movimento 5 Stelle, ma la politica deve avere la forza di cambiare idea di fronte allo stato delle cose». D’accordo la presidente Ascom Maria Luisa Coppa che trova «incredibile che dobbiamo trovarci per manifestare per una cosa che non è nemmeno da mettere in discussione. Non è soltanto una questione di Torino e del Piemonte» anche perché «farà la differenza per le generazioni che verranno», aggiungono i segretari generali della Cisl Torino e Piemonte, Domenico Lo Bianco e Alessio Ferraris.

La preoccupazione del futuro è maggiore ma, evidenziano Giovanni Fracasso e Gabriella Bocca, Piccola industria Torino e Piemonte, «un lumicino di speranza è nato il 10 novembre perché la gente ha deciso di metterci la faccia, è più facile manifestare contro qualcuno».

Il coro che chiede risposte è unanime. «Aspettiamo dal governo una chiara presa di posizione, non si può continuare a rimandare, è un costo per il Paese» ribadisce il presidente dei costruttori torinesi, Antonio Mattio. E anche le cooperative si fanno sentire: «Siamo convinti dell’importanza di agevolare le connessioni tra tutti i territori, a beneficio delle comunità che li abitano e delle imprese che vi lavorano» dice Domenico Paschetta, Confcooperative Piemonte.

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L’idea del referendum, intanto, non piace e viene vista come estrema ratio. «Non sono convinto sia un buon strumento, mi spaventa la preparazione delle persone che sarebbero chiamate a votare. Si può discutere su come evitare sperperi, ma non su se farla o no», commenta Alberto Barberis, dei Giovani industriali. Intanto le associazioni di categoria si stanno già preparando a fine mese quando, secondo l’ultima data fornita dal governo, dovrebbe essere resa nota l’analisi costi benefici. Difficile una ulteriore manifestazione in piazza ma più probabili «operazioni verità» per comunicare con ancora più forza quello che si rischia con lo stop. Del resto con la Lega si rafforza la speranza che non servano altre prove di forza.

Le parole del capogruppo del Carroccio alla Camera, Riccardo Molinari, arrivano forti e chiare a rasserenare gli animi: «Sono convinto che si troverà una sintesi». Fabio Ravanelli, Confindustria Piemonte, è ottimista: «Ci sentiamo più capiti e più forti» e con tutti i partiti al flash mob «non c’è rischio di essere strumentalizzati, in quanto nostro obiettivo è portare avanti la causa». E Corrado Alberto, presidente dell’Api, promette: «Da parte nostra continueremo a lottare non soltanto per la Tav ma per un progetto di sviluppo fatto di investimenti per un futuro di crescita sociale ed economica».

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