Dio è «padre» e anche «madre», non «un tiranno». E tu potrai essere pure «un delinquente», portare dentro «tante cose brutte», ma per Lui resti sempre un figlio da amare, da scusare e al quale restare fedele. Nell’udienza generale di oggi in Aula Paolo VI, la terza del 2019, Papa Francesco prosegue il ciclo di catechesi sul Padre Nostro e si concentra in particolare sulla parola «Abba», appellativo aramaico usato in ambito giudaico antico tramandato anche ai cristiani, così importante da non essere tradotto in greco e latino ma conservato intatto nella sua forma originaria.

«Abba» che significa «padre», appunto, che è il nome con cui rivolgersi a Dio. «Per un cristiano pregare significa semplicemente dire “papà”, “babbo”, “abba”, come un bambino», dice Bergoglio a braccio nella sua catechesi, al termine della quale rivolge un appello per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si apre venerdì 18 gennaio. «Dopo aver conosciuto Gesù e ascoltato la sua predicazione, il cristiano non considera più Dio come un tiranno da temere, non ne ha più paura ma sente fiorire nel suo cuore la fiducia in Lui: può parlare con il Creatore chiamandolo “Padre”», afferma il Pontefice. 

Gesù stesso, nel Nuovo Testamento, si rivolge così a Dio. «Nella prima parola del Padre Nostro troviamo subito la radicale novità della preghiera cristiana», osserva il Papa. «Non si tratta solo di usare un simbolo – la figura del padre – da legare al mistero di Dio; si tratta invece di avere, per così dire, tutto il mondo di Gesù travasato nel proprio cuore. Se compiamo questa operazione, possiamo pregare con verità il Padre Nostro».

«Dire “Abba” - sottolinea Francesco - è qualcosa di molto più intimo, più commovente che semplicemente chiamare Dio “Padre”. Ecco perché qualcuno ha proposto di tradurre questa parola aramaica originaria con “papà” o “babbo”: invece di dire “Padre nostro”, dire “papà” o “babbo”. Noi continuiamo a dire “Padre nostro”, ma col cuore siamo invitati a dire “papà”, avere con Dio un rapporto come quello di un bambino col padre che dice “papà”, dice “babbo”». Sono tutte espressioni che evocano «affetto, calore, qualcosa che ci proietta nel contesto dell’età infantile: l’immagine di un bambino completamente avvolto dall’abbraccio di un padre che prova infinita tenerezza per lui». 

E ancora di più questa espressione prende «senso e colore» se la si usa dopo aver letto la parabola del padre misericordioso: «Immaginiamo questa preghiera - dice il Pontefice - pronunciata dal figlio prodigo, dopo aver sperimentato l’abbraccio di suo padre che lo aveva atteso a lungo, un padre che non ricorda le parole offensive che lui gli aveva detto, un padre che adesso gli fa capire semplicemente quanto gli sia mancato. Allora scopriamo come quelle parole prendono vita, prendono forza. E ci chiediamo: è mai possibile che Tu, o Dio, conosca solo l’amore? Dov’è in Te la vendetta, la pretesa di giustizia, la rabbia per il tuo onore ferito?».

 

È un padre, quello della parabola, che «ha nei suoi modi di fare qualcosa che molto ricorda l’animo di una madre»: «Sono soprattutto le madri a scusare i figli, a non interrompere l’empatia nei loro confronti, a continuare a voler bene, anche quando questi non meriterebbero più niente», evidenzia il Papa. E, richiamando un pensiero già espresso da Giovanni Paolo I, aggiunge: «Dio è come una madre che non smette mai di amare la sua creatura. D’altra parte, c’è una “gestazione” che dura per sempre, ben oltre i nove mesi di quella fisica, e che genera un circuito infinito d’amore». «Dio ti cerca, anche se tu non lo cerchi», insiste Papa Francesco. «Dio ti ama, anche se tu ti sei dimenticato di Lui. Dio scorge in te una bellezza, anche se tu pensi di aver sperperato inutilmente tutti i tuoi talenti».

Allora «basta evocare questa sola espressione – Abbà – perché si sviluppi una preghiera cristiana»; in questa invocazione «c’è una forza che attira tutto il resto della preghiera… Per un cristiano, pregare è dire semplicemente “Abbà”». 

Tuttavia può capitare che anche chi crede finisce per «camminare su sentieri lontani da Dio, come è successo al figlio prodigo; oppure di precipitare in una solitudine che ci fa sentire abbandonati nel mondo; o, ancora, di sbagliare ed essere paralizzati da un senso di colpa». Ecco, in quei momenti difficili, dice Bergoglio, «possiamo trovare ancora la forza di pregare, ricominciando dalla parola “Abbà”. Lui non ci nasconderà il suo volto». 

«Ricordate bene - aggiunge Francesco a braccio - forse qualcuno ha dentro di se cose brutte, cose che non sa come risolvere, tanta amarezza per aver fatto questo, quest’altro… Lui (Dio) non nasconderà il suo volto. Lui non si chiuderà nel silenzio: tu digli “padre” e Lui ti risponderà. Tu hai un padre: “Sì, ma sono un delinquente”… Ma hai un padre! Inizia a pregare così e nel silenzio Lui ci dirà che mai ci ha persi di vista: “Sono rimasto sempre lì vicino a te, fedele al mio amore per te”. Non dimenticatevi mai di dire “padre”».

A conclusione della sua catechesi, dopo i saluti ai pellegrini nelle varie lingue, Papa Francesco pronuncia un appello in vista della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che lui stesso aprirà venerdì 18 gennaio con la celebrazione dei vespri nella basilica di San Paolo Fuori le Mura. Dedicata al tema: “Cercate di essere veramente giusti”, la Settimana di preghiera si concluderà il prossimo 25 gennaio. «Anche quest’anno - dice il Papa - siamo chiamati a pregare affinché tutti i cristiani tornino ad essere un’unica famiglia, coerenti con la volontà divina che vuole “che tutti siano una sola cosa”. L’ecumenismo non è una cosa opzionale. L’intenzione sarà quella di maturare una comune e concorde testimonianza nell’affermazione della vera giustizia e nel sostegno dei più deboli, mediante risposte concrete, appropriate ed efficaci».

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