Nella giornata di giovedì 10 gennaio la commissione elettorale (Ceni) ha reso noti i risultati delle elezioni nella Repubblica Democratica del Congo. La mossa ha colto tutti di sorpresa sia in quanto al timing – il giorno prima la stessa Ceni aveva parlato di rinvio sine die – sia per ciò che riguarda il nome del vincitore: Felix Tshisekedi, esponente dell’opposizione che tutti i sondaggi e gli exit poll davano per secondo a grande distanza da Martin Fayulu (accreditato attorno al 60%, almeno 20 punti sopra Tshisekedi).

Nei giorni successivi, come mannaie, sono arrivate pesantissime prese di posizione di organismi ufficiali che sollevano forti dubbi sulla veridicità e la trasparenza del processo elettorale. Prima la dichiarazione ufficiale della Sadc (Comunità di sviluppo dell’Africa del Sud), l’organismo di coordinamento di 15 Stati dell’area meridionale del continente, che, dopo aver espresso stupore, ha richiesto il riconteggio. A seguire quella dell’Unione Europea che auspica una pubblicazione di tutti i verbali perché «i risultati preliminari sono stati contestati da una parte dell’opposizione, da osservatori nazionali e, in particolare, dalla Conferenza Episcopale (Cenco)». Infine quella dell’«Unione Africana» che nella serata di giovedì 17 gennaio ha presentato al governo una richiesta ufficiale perché si sospenda la pubblicazione dei risultati finali a causa di «seri dubbi».

La Chiesa, assoluta protagonista della tornata elettorale, con i suoi 40mila osservatori sguinzagliati in tutti i seggi durante il voto e le operazioni di spoglio, e i 408 operatori del Call Center messo a disposizione dalla Conferenza episcopale per interagire con gli osservatori stessi e analizzare il conteggio, ha immediatamente mostrato il suo disappunto facendo capire che dai dati in suo possesso il vincitore non ha la legittimità del voto. In una nota diramata poche ore dopo la pubblicazione dei risultati, dopo aver apprezzato la novità di una possibile alternanza politica (dopo anni di monocolore kabiliano, ndr) aggiunge: «Dall’analisi degli elementi a nostra disposizione, possiamo dire con certezza che i risultati presentati dalla Ceni non corrispondono a quelli raccolti dalla nostra missione di osservazione presente in ogni seggio». Nel frattempo le tensioni aumentano: l’ufficio dell’Onu in Congo ha denunciato scontri che negli scorsi giorni hanno causato la morte di 34 persone e il ferimento di una sessantina, oltre a 240 «arresti arbitrari» mentre le voci di possibili accordi Tshisekedi-Kabila, che farebbero presagire una continuità di potere del «padrone» del Congo, sprofonderebbero il Paese in una crisi politica e civile dalle dimensioni inimmaginabili.

Per avere un aggiornamento sulla situazione, raggiungiamo al telefono Donatiene Nshole, segretario della Conferenza episcopale.

Padre la Cenco ha preso nettamente le distanze dai risultati che la Ceni ha reso noti. Come voi hanno fatto altri organismi: siamo in una situazione di mancato rispetto della volontà del popolo?

«Noi siamo stati chiari fin dall’inizio e di recente abbiamo consigliato di pubblicare i risultati seggio per seggio, sarebbe la cosa migliore da fare per tranquillizzare tutti gli animi e portare il Congo a una situazione di vera democrazia. Probabilmente arriverà a questa stessa conclusione la Corte Costituzionale. Per noi i dati non corrispondono affatto lo abbiamo detto e ridetto e ci siamo riservati di rivelare il nome secondo noi vincitore delle elezioni così come una relazione dettagliata di tutti i dati in nostro possesso, attraverso un’ultima comunicazione che abbiamo consegnato alla Ceni lunedì scorso».

La Ceni come ha reagito?

«Gli uffici sono chiusi e non hanno ancora risposto. Finché non lo farà la Commissione Elettorale, noi non riveleremo il nome del vincitore né i dati in nostro possesso»

Si teme per il caos? La situazione è calma al momento?

«Una calma relativa: la gente attende la Corte costituzionale, probabilmente per l’inizio della prossima settimana. Ovviamente il clima è molto teso e c’è molta incertezza».

C’è chi invoca un governo di unità nazionale che coinvolga tutti e tre i candidati (Martin Fayulu, Félix Tshisekedi ed Emmanuel Ramazani Shadary, espressione, quest’ultimo, del partito di Kabila, ndr). Per lei sarebbe una soluzione?

«Il primo e fondamentale punto all’ordine del giorno, per noi, è il rispetto delle urne. Certo, se si decidesse di procedere a un compromesso che evitasse il caos istituzionale e possibili scontri, noi non avremmo niente da dire, bisogna vedere se i tre, però, ma soprattutto Fayulu, possano accettare un simile accordo. In politica, si sa, tutto è possibile, e non sarei stupito se alla fine si trovasse il modo per far partire un governo di unità nazionale. Il problema, però, è che il sentimento di frustrazione tra il popolo che non ha votato per quella soluzione, crescerebbe».

La Ceni ha anche dichiarato che nelle elezioni legislative, il primo partito in parlamento sarebbe il Partito del Popolo per la Ricostruzione e la Democrazia di Joseph Kabila. Questo significa che, in ogni caso, sarà ancora lui il «padrone» del Congo?

«Ci sono contestazioni anche legislative. E per quanto riguarda i nostri osservatori, non disponiamo ancora di un rapporto relativo alle elezioni parlamentari, perché fino a oggi sono restati molto concentrati sulle presidenziali. Presto però avremo anche quei dati e saremo in grado di dare un giudizio. Per noi, in ogni caso, come ho già detto, è fondamentale il rispetto dei principi e della volontà del popolo. Certo, se quei dati saranno confermati, sarà in ogni caso lui a controllare la politica del Paese, l’assemblea legislativa e il senato. E questo, non è certo una buona notizia».

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