Doveva essere pubblicato prima di Natale ma solo oggi, dopo una serie di rimandi, la Santa Sede ha diffuso il motu proprio che modifica la struttura amministrativa della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, istituita da Giovanni Paolo II nel 1988 per risanare il dialogo con i lefebvriani dopo lo scisma, che ora cessa di essere ente autonomo e diventa una «sezione» della Congregazione della Dottrina della Fede.

Si tratta sostanzialmente di un riordinamento giuridico della Commissione che già faceva riferimento al Dicastero (il presidente di “Ecclesia Dei” è il prefetto dell’ex Sant’Uffizio), che non intacca la missione di mantenere i rapporti con la Fraternità sacerdotale San Pio X fondata da monsignor Marcel Lefebvre dopo il Concilio Vaticano II. I compiti di “Ecclesia Dei” «sono assegnati integralmente alla Congregazione per la Dottrina della Fede, in seno alla quale verrà istituita una apposita Sezione impegnata a continuare l’opera di vigilanza, di promozione e di tutela fin qui condotta» si legge nel documento, che spiega anche che il bilancio dell’organismo rientra nella contabilità ordinaria della Congregazione. 

A cambiare è la collocazione del finora segretario della Commissione, monsignor Guido Pozzo, nominato sovrintendente all’economia della Cappella Musicale Pontificia della Cappella Sistina con un altro motu proprio pubblicato sempre oggi.

La motivazione di tale mossa di Francesco va ricercata nel venir meno di «quel carattere di eccezionalità per il quale nel 1988 san Giovanni Paolo II» aveva istituito la Commissione, dopo la rottura con l’arcivescovo Marcel Lefebvre e le ordinazioni episcopali avvenute senza mandato pontificio. Lo spiega bene un articolo del direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli, pubblicato contestualmente al motu proprio: in seguito allo scisma «la Commissione doveva favorire il recupero della piena comunione ecclesiale con sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose legati al Rito Romano preconciliare, permettendo loro di mantenere le proprie tradizioni spirituali e liturgiche. Un’emergenza che non esiste più, grazie anche alla decisione di Benedetto XVI di liberalizzare l’uso del Messale Romano del 1962 (promulgato da san Giovanni XXIII prima dell’inizio del Concilio)». 

Non solo: «Gli Istituti e le Comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria, hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita», come recita il documento. La loro esistenza è dunque «consolidata» e «tutte le funzioni sono trasferite alla nuova sezione che, tra l’altro, si avvarrà del personale fino ad oggi in servizio nella Commissione», sottolinea Tornielli.

Il passaggio voluto da Francesco è inoltre motivato dal fatto che le finalità e le questioni trattate dalla Commissione rimangono «di ordine prevalentemente dottrinale», considerando la già citata revoca delle scomuniche ai vescovi ordinati illegittimamente, il libero uso del Messale Romano del ’62 e le facoltà concesse ai sacerdoti della Fraternità da Papa Francesco. Quello della dottrina rimane «l’unico ma anche più importante tema rimasto aperto». Pertanto la Commissione, nella sua forma attuale di ente indipendente, non aveva alcuna ragione di esistere.

Annunciando la decisione, il Papa nel testo - che reca la firma del 17 gennaio 2019 - ripercorre le tappe che hanno scandito la storia della Commissione, a cominciare dalla istituzione avvenuta, come detto, per volontà di Wojtyla in un momento doloroso quale fu la scomunica latae sententiae in cui incorse monsignor Lefebvre per aver ordinato quattro vescovi il 30 giugno dell’88, nonostante una previa ammonizione formale della Santa Sede. La scomunica fu formalizzata il giorno stesso; neanche due giorni dopo, il 2 luglio, Giovanni Paolo II, parlando esplicitamente di «disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l’unità della Chiesa» e di «atto scismatico» dovuto ad una «incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione», pubblicava il motu proprio con cui creava la Commissione.

Il suo compito era di «collaborare coi vescovi e coi Dicasteri della Curia romana, nel facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti, seminaristi, comunità o singoli religiosi e religiose, legati alla Fraternità fondata da monsignor Marcel Lefebvre, che desideravano rimanere uniti al Successore di Pietro nella Chiesa Cattolica, conservando le proprie tradizioni spirituali e liturgiche». Un lavoro svolto con «sincera sollecitudine e lodevole premura», scrive oggi Francesco. In tal modo, si legge nel documento, “Ecclesia Dei” «ha potuto esercitare la propria autorità e competenza a nome della Santa Sede su dette società e associazioni, fino a quando non si fosse diversamente provveduto».

Successivamente, in forza del motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI del 7 luglio 2007, la Pontificia Commissione «ha esteso l’autorità della Santa Sede su quegli Istituti e Comunità religiose, che avevano aderito alla forma straordinaria del Rito romano e avevano assunto le precedenti tradizioni della vita religiosa, vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni stabilite».

Sempre Ratzinger, due anni dopo, con la lettera Ecclesiae unitatem del 2 luglio 2009, riorganizzava la struttura della Commissione, per «renderla più adatta alla nuova situazione venutasi a creare con la remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati senza mandato pontificio». Inoltre, «ritenendo, che, dopo tale atto di grazia, le questioni trattate dalla medesima Pontificia Commissione fossero di natura primariamente dottrinale», Benedetto «l’ha più organicamente legata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, conservandone comunque le iniziali finalità, ma modificandone la struttura».

La decisione di oggi di Bergoglio è quindi il compimento di un cammino iniziato dieci anni fa. Essa è stata presa, «dopo ampia riflessione», in seguito alla richiesta della Feria IV della Dottrina della Fede del 15 novembre 2017 «che il dialogo tra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X venga condotto direttamente dalla menzionata Congregazione». L’approvazione del Pontefice è stata concessa al prefetto Ladaria il 24 dicembre; la proposta inoltre - si legge - ha avuto l’accoglienza della sessione plenaria della medesima Congregazione celebratasi dal 23 al 26 gennaio 2018. 

Sullo sfondo di questo passaggio non è sottintesa, dunque, alcuna volontà di depotenziamento o una qualche ragione ecclesiastica, come suggerivano alcuni blog tradizionalisti anticipando nelle scorse settimane l’uscita del motu proprio. 

Va ricordato peraltro che sin dall’inizio del pontificato Bergoglio ha sempre mostrato una mano tesa ai lefevbriani, a cominciare dall’aver concesso loro durante il Giubileo della Misericordia del 2016 «le facoltà per confessare validamente i fedeli, in modo da assicurare la validità e la liceità del sacramento da loro amministrato e non lasciare nell’inquietudine le persone». Poi la lettera dell’aprile 2017, con cui l’allora prefetto della Dottrina della Fede, il cardinale Gherard Müller, e monsignor Pozzo rendevano noto che il Papa aveva deciso di autorizzare gli Ordinari del luogo (i vescovi diocesani) «a concedere licenze per la celebrazione di matrimoni dei fedeli che seguono l’attività pastorale della Fraternità». 

I rapporti sono proseguiti anche con il cambio di vertici alla FSSPX nel luglio scorso, con l’uscita di scena di monsignor Bernard Fellay e l’elezione del 47enne riminese don Davide Pagliarani quale nuovo superiore. Il quale, dopo un’udienza con il prefetto Ladaria, annunciava in una nota che, nonostante continui a registrarsi una «irriducibile divergenza dottrinale» tra la Santa Sede e i figli spirituali di Levebvre, «tutto spinge la Fraternità a riprendere la discussione teologica». In proposito il Vaticano riferisce che i nuovi responsabili della FSSPX hanno annunciato di voler chiedere «un ulteriore confronto con la Santa Sede sui testi del Concilio Ecumenico Vaticano II». Un «tema delicato» che sarà affrontato dal cardinale Ladaria.

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