Nella ‘ndrangheta, il «battesimo» di ogni affiliato prevede un rito. Il «taglio della coda» permette di passare da una situazione di «contrasto onorato» a quella di «picciotto». Terminologie che per gli inquirenti sono tali da «non lasciare spazio ad alcun dubbio» sul senso con cui vengono utilizzate e «sulla valenza definitoria e di selezione di fatti e comportamenti tipici della consorteria mafiosa». Di «taglio della coda» ne hanno parlato Nicola Prettico, consigliere comunale di Aosta per l’Union Valdôtaine, considerato dagli inquirenti «partecipe» della «locale», e Marco Di Donato, che in base a quanto è emerso dalle indagini era al vertice dell’associazione stessa. Entrambi sono finiti in carcere mercoledì, nell’ambito dell’inchiesta «Geenna» della Dda di Torino.

Il «taglio della coda» è un aspetto «che attiene a uno dei momenti essenziali della vita dell’associazione, che non può essere condiviso e discusso, per regola di esperienza stante il carattere segreto della 'ndrangheta , se non tra affiliati e appartenenti al medesimo sodalizio».

La discussione, riportata nelle 920 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Silvia Salvadori, è del gennaio 2016 e riguarda Alessandro Giachino, 40 anni residente ad Aymavilles e dipendente del Casinò, anche lui finito in carcere accusato di essere «partecipe» della «locale» di Aosta. «Dobbiamo vedere che c... dobbiamo fare con Alessandro oh», dice Di Donato a Prettico, perché «sto pensando di tagliargli la coda». Di fatto, Di Donato è intenzionato a «battezzare» Giachino, farlo passare dal «contrasto onorato», condizione «tipica di coloro i quali abbiano manifestato l’intenzione di essere affiliati alla ‘ndragheta e vengono sottoposti a un periodo di prova», a quella di componente della «‘ndrangheta presente in Valle d’Aosta». Prettico non ha dubbi: Giachino «non è pronto», «non lo vedi, pure a tavola… non si comporta» dice a Di Donato. Che replica: «non bestemmiare... Ale sa stare a tutti i tavoli».

Una discussione che, ricorrendo alla «terminologia a ai riti propri dell’affiliazione» conferma «il fatto che in Valle d’Aosta esista una struttura delocalizzata della ‘ndrangheta, rispetto alla quale Marco Di Donato svolge il ruolo di “capo” e “promotore”», si legge nell’ordinanza. È lui che dovrà «decidere in prima persona sull’opportunità di detta affiliazione». Non si sa se Giachino sia poi «battezzato» o meno, perché non è emersa «la prova della celebrazione del rito di affiliazione». In ogni caso, nonostante la mancata prova, Giachino «ha preso certamente parte in forma attiva all’associazione», si legge nell’ordinanza. Faceva arrivare «ambasciate», si metteva a disposizione per aiutare amici pregiudicati di Di Donato su sua richiesta, partecipava a incontri tra gli esponenti al vertice della «locale», era di fatto utilizzato come «uomo di fiducia».

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