L’amore per la Parola di Dio e l’amicizia tra Ebrei e Cristiani decisi a superare persistenti incomprensioni sono il vento salutare che muove le pagine del libro “La Bibbia dell’Amicizia” curato da Marco Cassuto Morselli, già docente di filosofia ebraica e storia dell’ebraismo, presidente della Federazione delle Amicizie ebraico-cristiane in Italia, e da padre Giulio Michelini, frate minore, ordinario di esegesi neotestamentaria e preside dell’Istituto Teologico di Assisi, aperto da una doppia prefazione firmata da Papa Francesco e da Rav Abraham Skorka (il primo interpellato da Michelini che nel 2017 gli aveva predicato gli Esercizi spirituali della Quaresima, il secondo da Morselli al quale è accomunato da un’esegesi finalizzata a comprendere il passato, ma proiettata nel futuro). 

L’opera traduce un articolato commento ai primi cinque libri della Bibbia, scritto a più mani da Ebrei e da Cristiani: una novità voluta per leggere la Bibbia insieme, nel segno del dialogo, dell’interpretazione in vicendevole aiuto, condivisa e non, sempre testimoniando l’amore del Padre. «Non si tratta solamente di stabilire, su di un piano umano, relazioni di reciproco rispetto: siamo chiamati, come Cristiani e come Ebrei, ad interrogarci in profondità sul significato spirituale del legame che ci unisce. Si tratta di un legame che viene dall’alto, che sorpassa la nostra volontà e che rimane integro, nonostante tutte le difficoltà di rapporti purtroppo vissute nella storia», così Papa Francesco a Gerusalemme il 26 maggio 2014, nella visita di cortesia ai due gran rabbini di Israele.

 

“La Bibbia dell’amicizia”, sottotitolo “Brani della Torah/Pentateuco commentati da ebrei e cristiani”, recepisce bene il senso di questa indicazione, nella certezza che lo studio della Torah è parte della riflessione su questo legame, in particolare della conoscenza della tradizione ebraica, e che come sosteneva un maestro dell’ebraismo sefardita e italiano del secolo scorso, Elia Benamozegh proprio la Torah diventa il luogo d’incontro tra Ebrei e Cristiani. Ed ecco dunque, esito di un percorso partito da lontano, che è ora possibile aprire la Bibbia insieme, prendendo atto della convergenza di fondo che esiste tra ebraismo e cristianesimo «inseparabile certo dalla loro diversità», eppure tale «da motivare la loro ineliminabile coappartenenza e la consistenza dell’apporto che la tradizione ebraico-cristiana nel suo insieme ha dato alla storia», per usare le parole del vescovo teologo Bruno Forte. 

Certo, fortunatamente, sembrano lontani i secoli delle dispute cha hanno fatto da grembo a odio, persecuzione e morte, da chi era convinto di possedere l’unica verità interpretativa ammissibile e che, ad ogni costo, si dovesse imporre agli altri (si trattava di «conflitti tra argomentazioni intellettuali dalle quali era stato espulso il Dio vivo che veniva sostituito – nel migliore dei casi – da un Dio come concetto, la cui essenza si supponeva fosse conosciuta in modo profondo dai polemisti», spiega rav Abraham Skorka, rettore del Seminario Rabinico Latinoamericano a Buenos Aires, mettendoci davanti al Dio diametralmente opposto, che interviene nella storia, che Israele ascolta laddove altri avvertono solo silenzio). Mentre tornano facilmente alla mente sequenze di grande valore non solo simbolico, favorite da tanta buona volontà, pur nella consapevolezza della persistenza di diversi nodi teologici. 

Ad esempio la presenza di Papa Francesco nella Sinagoga di Roma esattamente a sei anni dal giorno in cui vi fu accolto Benedetto XVI, il 17 gennaio 2010, e a trenta dall’abbraccio – il 13 aprile 1986 – tra Giovanni Paolo II e Rav Elio Toaff. E con esse impossibile dimenticare i progressi che le relazioni tra Ebrei e Cattolici hanno conosciuto a partire dal pontificato di Giovanni XXIII e di certi suoi incontri (ad esempio con Jules Isaac), dai lavori del Concilio Vaticano II, da suoi risultati fondamentali come Nostra Aetate, progressi che pure hanno avuto una evoluzione successiva in altri documenti importanti (qui, ad esempio, il vescovo Ambrogio Spreafico indica quello della Pontificia Commissione Biblica, firmato dall’allora cardinale Joseph Ratzinger dal titolo “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”), per arrivare ai testi più recenti divulgati nelle ultime Giornate annuali per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed Ebrei.

Insomma, se come scrive qui Papa Francesco nella prefazione «abbiamo alle spalle diciannove secoli di antigiudaismo cristiano» e «pochi decenni di dialogo sono ben poca cosa al confronto», «tuttavia in questi ultimi tempi molte cose sono mutate e altre ancora stanno cambiando». Ma cosa succede davvero se ebrei e cristiani avvicinano insieme le pagine bibliche sostando su parole e azioni, lamenti e invocazioni, racconti di fedeltà e tradimento, guerra e pace, alleanza e sconfitta, a confronto con situazioni di gioia o di disperazione, consolazione o mestizia, mettendo le loro esistenze di fronte all’Eterno, al di là dello spazio e del tempo? Cosa accade se gettano uno sguardo fiducioso su concetti unitivi (vuoi il cuore, il deserto, la libertà, ecc.), fronti di dialogo dentro un’economia di salvezza unica (aspirante non a forme di dualismo, bensì di complementarità), come pure su temi comuni (la rivelazione, la persona umana, Dio liberatore e salvatore; l’elezione di Israele, la Legge, la preghiera, il culto, ecc.), trattati prima nell’Antico, poi nel Nuovo Testamento? Attenzione: lo scopo di questa iniziativa «non è arrivare a una lettura unificata della Bibbia nella quale le diversità si stemperino fino ad annullarsi, ma è quello di conoscersi meglio e di conoscere meglio le rispettive letture e interpretazioni, accettando che esse possano essere diverse», avvertono i due curatori nella presentazione all’opera. 

E aggiungono: «Ogni autore e ogni autrice ha seguito il proprio metodo di lettura: vi sono rabbini e sacerdoti, biblisti e bibliste, filosofi e filosofe, storici e storiche, letterati e letterate, psicologi e psicoanalisti, e anche persone che lavorano in altri campi ma studiano con passione e regolarità le Scritture. Non a tutti piaceranno tutti i testi dei commenti, ma anche in questo c’è qualcosa da imparare: l’armonia non consiste nell’essere d’accordo su tutto, ma nell’accettare di essere in disaccordo, non essere messi in crisi dalla diversità di vedute e di visioni». Tutti inediti i contributi offerti (ad eccezione del testo di André Chouraqui dal titolo “Vivere la Torah”), a quella che è, al momento, una prima raccolta di contributi originali di studiosi diversi, una rassegna di voci delle differenti tendenze interpretative sia in ambito ebraico sia in quello cristiano, inizio di un percorso destinato a proseguire su altri corpi scritturistici. 

La struttura del libro è ben articolata. Cinque introduzioni generali, affidate a monsignor Spreafico, Amos Luzzatto, Piero Stefani, Anna Foa, cui si aggiunge il testo sopra ricordato di Chouraqui. A seguire dieci saggi introduttivi ai cinque libri (Jack Bemporad e Federico Giuntoli per Bereshit/Genesi; Amedeo Spagnoletto e Jean-Louis Ska per Shemot/Esodo; Joseph Levi e Simone Paganini per Wayyiqra/Levitico; David Meyer e Francesco Cocco per Bamidbar/Numeri; Alexander Rofé e Grazia Papola per Devarim/ Deuteronomio). Infine, ben trentacinque esegeti che commentano singole pericopi: Daniele Garrone, Bruno Di Porto, Roberto Della Rocca, Emanuela, Donatella Scaiola, Luciano, Luca Mazzinghi, Laura Invernizzi, Miriam Camerini, Dionisio Candido, Matteo Ferrari, Sandro Ventura, Massimo Gargiulo, Giuseppina Bruscolotti, Giovanni Rizzi, Massimo Giuliani , Patrizio Rota Scalabrini , Cristina Termini , Stefano Levi Della Torre, ecc. Alla fine dell’opera un robusto apparato di appendici (glossario, onomastica, indici…). 

Sullo sfondo resta la questione fondamentale e più volte esplorata del rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento nel quale un autore come Massimo Grilli distingue quattro diversi modelli di rapporto tra i due Testamenti qui richiamati. «Il primo, “conflittuale”, radicalizza la diversità dialettica tra le due parti della Scrittura; quindi, ritiene impossibile comprendere i due Testamenti come unità organica». Un secondo modello «tipologico-allegorico» che «vede nelle realtà ebraiche solo delle prefigurazioni delle realtà cristiane». Un terzo modello «promessa-compimento», «per cui le promesse a Israele trovano compimento nella Chiesa», e un quarto «storico-salvifico» a sottolineare «l’unità della Scrittura nelle sue due parti, in quanto vi è una continuità nell’azione divina nella storia».

Grilli osserva che «la categoria della Storia della Salvezza sembra la più idonea a esprimere il rapporto tra Primo e Nuovo Testamento, a motivo del dinamismo insito nel concetto di “storia”, che evita di racchiudere il rapporto in concetti statici e astratti». Tuttavia - citando Brevard S. Childs - prosegue: «La teologia biblica di entrambi i Testamenti deve sfociare in una riflessione teologica capace di muoversi anche nella direzione inversa, dal Nuovo Testamento all’Antico, e una tale dialettica cruciale è minacciata da qualsiasi richiamo acritico a seguire una traiettoria unilineare, unidirezionale, verso il futuro». Così, poiché le Scritture d’Israele hanno un valore permanente, che non può essere annullato dalla successiva interpretazione cristiana, Grilli suggerisce «una lettura dialogica dei due Testamenti», nella consapevolezza che questo «faccia a faccia», questo «essere di fronte» non è una questione accademica, ma un traguardo di riconciliazione tra culture ed esistenze: «La riconciliazione tra i due Testamenti significa anche (soprattutto) riconciliazione tra popoli e nazioni» 

 

 La Bibbia dell’Amicizia. Brani della Torah/Pentateuco commentati da ebrei e cristiani, a cura di Marco Cassuto Morselli e Giulio Michelini - San Paolo, pp. 384, euro 30 

 

I commenti dei lettori