«Qui a Panama ho pensato molto al popolo venezuelano, al quale mi sento particolarmente unito in questi giorni». Di fronte alla «grave situazione che sta vivendo, chiedo al Signore che si cerchi e si raggiunga una soluzione giusta e pacifica per superare la crisi, nel rispetto dei diritti umani e cercando esclusivamente il bene di tutti gli abitanti del Paese». Lo ha detto il Papa all'Angelus di ieri, affidando il popolo venezuelano alle preghiere alla Vergine di Coromoto, patrona del Paese.

Abbiamo chiesto una riflessione a padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà cattolica, le cui bozze vengono viste dalla Segreteria di Stato vaticana. Spadaro e il suo giornale si occupano in modo speciale di geopolitica della Santa Sede. Il direttore gesuita fa parte dell’entourage di Francesco e dunque in questi giorni era a Panama per la Giornata mondiale della Gioventù (Gmg).

Padre Spadaro, Juan Gaudió ha detto anche a La Stampa che spera in un pronunciamento del Papa. Secondo Lei arriverà?

«Non sono in grado di rispondere. Quello che posso dire è che il Pontefice non si esprime su dinamiche politiche e istituzionali di un altro Stato».

Perché la prudenza della dichiarazione vaticana di Gisotti e delle parole del Papa all’Angelus di Panama? Qualcuno si aspettava un cenno di consenso a Gaudió.

«La Santa Sede è sempre di una prudenza estrema, proprio perché l’obiettivo non è dire: “Tu hai vinto, tu hai perso”. E nel contesto venezuelano, con un esercito in campo e potenzialmente operativo, questo significherebbe un bagno di sangue. Oltretevere si lavora per cucire, non per tagliare».

Allora che cosa ha voluto dire?

«Questo è il momento non di prendere posizione, ma neanche di tacere. La posizione della Santa Sede è: ci sono e sto guardando. Prego e sono preoccupato. La Santa Sede è lì ad attendere non con le forbici ma con ago e filo».

Come si muoverà nei prossimi giorni?

«In generale la Santa Sede lavora sempre per la riconciliazione e per una stabilità che resti nel tempo: accompagna i processi in maniera prudente in modo tale che poi possa essere partner di dialogo. In questo momento di forte polarizzazione c’è bisogno di una riconciliazione nazionale, che evidentemente non può essere senza costi, dunque i rischi ora sono molto alti. Il Vaticano ne è consapevole e dunque vuole giocare la carta di una riconciliazione nazionale: non tanto di una vittoria di uno sull’altro, ma di un popolo che si riconcilia e torna a vivere, superando le situazioni di sofferenza vissuta fino a oggi».

Quali passi spera avvengano a Caracas?

«Un dialogo con Maduro, che mi pare si sia detto disponibile. E un aiuto dell’Onu e di Paesi limitrofi».

Condivide la posizione dei vescovi venezuelani che stanno difendendo a gran voce il diritto della gente a protestare?

«I vescovi sono immersi nella situazione ed esprimono sentimenti della gente, e possono farlo in maniera non unitaria e predefinita. Certamente si fa appello ad un desiderio di pace». 

Oltre al Venezuela, quale altra crisi attuale sta particolarmente a cuore al Papa? 

«Ci sono varie situazioni, che sono legate a una parola: paura. Nel mondo ci sono focolai di tensione che nascono proprio da una percezione di paura che viene generata nella gente, che crea una diffusa sensazione di incertezza e che porta a sentimenti di odio. C’è una preoccupazione che tocca vari Paesi dove sono presenti e attive queste dinamiche. Perciò a questa Gmg il Papa ha fatto appello, senza citare alcun Paese, al pericolo di una perdita di compassione. Cioè per il Papa la cosa più importante all’interno delle dinamiche politiche nazionali e internazionali è la salvaguardia dell’umanità e del senso di umanità e di compassione». 

E il tema migranti?

«Il Papa ha parlato delle migrazioni come nodo politico globale, dobbiamo essere consapevoli che nel mondo ci sono tante situazioni di ostilità e di muro. Una cosa che il Papa ha sempre fatto è di andare nei luoghi di tensione e di toccare le tensioni con mano, come ha fatto Gesù che ha voluto toccare le situazioni ferite per guarire». 

Quale sarà la geopolitica del Papa nel 2019?

«Basta guardare alle scelte compiute in questa prima parte di anno. Panama è un’isola ponte fra due oceani, infatti ha usato parole molto simili a quelle che usò quando atterrò a Cuba. E poi i conflitti pseudo-religiosi, cioè motivati apparentemente da tensioni religiose, in particolare con l’islam. Il suo desiderio è di essere presente a grandi e significativi incontri di carattere interreligioso: come quelli di Abu Dhabi e del Marocco, che costituiscono un “tris” con il precedente dell’Egitto, senza dimenticare i viaggi di Francesco in Bangladesh e Azerbajgian». 

E la Cina?

«La situazione è in progress. Il passo fondamentale compiuto con l’Accordo provvisorio consiste nel fatto che il governo cinese di fatto accetta che un’autorità straniera abbia una parola decisiva sulla vita del Paese. E ovviamente le dinamiche religiose sono parte di quelle sociali. Ora stiamo assistendo ad una fase di assestamento e riconciliazione fra i vescovi. Vescovi che adesso sono tutti in comunione con il Papa e che pure si stanno incontrando tra di loro per appuntamenti di riconciliazione e preghiera. Questo è un momento molto importante e delicato in cui si comprende che il passo forte è stato fatto e dunque bisogna procedere in questa direzione».

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