Dal 3 al 5 febbraio soffierà forte lo spirito di Assisi all’incontro interreligioso internazionale sulla fratellanza umana al quale ad Abu Dhabi, su invito del principe ereditario, parteciperà Jorge Mario Bergoglio, primo Papa in visita nella Penisola arabica. A ottocento anni esatti dall’incontro in piena Quinta Crociata di San Francesco con il Sultano d’Egitto, il Pontefice che ha scelto di chiamarsi come il Poverello segue le orme dei suoi immediati predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI promotori ad Assisi dei meeting tra i capi mondiali delle religioni.

Un’ispirazione che risale al 27 ottobre 1986, quando Karol Wojtyla convocò ad Assisi la prima Giornata di preghiera per la Pace, alla quale presero parte 50 rappresentanti delle Chiese cristiane e 60 leader delle altre fedi mondiali. «Non era mai accaduto nella storia che i vertici delle religioni si riunissero non per dichiararsi guerre, negoziare tregue o provare a convertirsi a vicenda ma solo per pregare, trascorrere del tempo insieme e per sedere gli uni accanto agli altri confrontandosi su temi di interesse comuni», raccontava il cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato e protagonista della Ostpolitik della Santa Sede durante la guerra fredda. Non era mai stato organizzato un incontro del genere.

«È in sé un invito fatto al mondo per prendere coscienza che esiste un'altra dimensione della pace e un altro modo di promuoverla, che non sono il risultato di trattative, di compromessi politici, economici», spiegò Giovanni Paolo II. «La preghiera e la testimonianza dei credenti, a qualunque tradizione appartengano, può molto per la pace nel mondo». Per un giorno intero tacquero le armi. Con un appello finale: «Continuate a vivere il messaggio della pace, continuate a vivere lo spirito di Assisi!».

Invito accolto 25 anni dopo da Benedetto XVI nella giornata di dialogo e preghiera per la pace sempre con i leader religiosi e, idealmente, con tutti gli uomini di buona volontà provenienti da tutto il mondo proprio ad Assisi. Spirito di Assisi alimentato aa partire dal 1987 dalla Comunità di Sant'Egidio che ne ha fatto un appuntamento annuale attraverso l’organizzazione degli Incontri internazionali di preghiera per la Pace, unendo in questo pellegrinaggio sempre più uomini e donne di religione diversa e accomunati dal desiderio di costruire insieme vie di dialogo e riconciliazione.

Paola Pizzo è docente di Storia contemporanea dei Paesi islamici all’Università di Chieti-Pescara e membro del Dipartimento per le relazioni islamo-cristiane della Comunità di Sant’Egidio. Come nasce il “sì” di Francesco all’Incontro interreligioso internazionale?

«Papa Francesco si è mostrato sempre molto disponibile all’incontro con rappresentanti del mondo islamico. Quello di Abu Dhabi si situa in continuità con una serie di contatti con personalità del mondo musulmano. Il Papa aveva ricevuto la visita del principe ereditario degli Emirati nel settembre 2016, una personalità di grande rilievo nel paese. Il cardinale Parolin era stato alcuni anni fa negli Emirati per inaugurare una chiesa cattolica e i due paesi hanno relazioni diplomatiche dal 2007. La partecipazione al convegno interreligioso promosso dagli Emirati prosegue un percorso di incontri che è frutto anche del rapporto diretto e familiare che il Papa ha stabilito con il Grande Imam di al-Azhar, l'egiziano Ahmed al-Tayyeb, la più alta autorità religiosa del mondo sunnita. Tayyeb è infatti presidente del Muslim Council of Elders, un organismo islamico di dialogo e promozione della pace che è stato promosso dagli Emirati e ha sede ad Abu Dhabi. Proprio il primo giorno della sua visita, il Papa incontrerà il direttivo di questo Consiglio. Il convegno di Abu Dhabi è importante anche perché conferma un rapporto di stima e, direi di più, di fraternità che si è stabilito tra Papa Francesco e alti rappresentanti della comunità musulmana».

Quali sono state le tappe di avvicinamento?

«Durante la visita in Egitto, nell'aprile 2017, il Papa e il Grande Imam di al-Azhar si sono salutati e riconosciuti con l’appellativo di “fratello”. Ricordo bene l’abbraccio fraterno che i due si sono scambiati in quell'occasione, nella sala la commozione di tutti era palpabile. Non credo sia un caso se il convegno interreligioso di Abu Dhabi abbia come tema proprio “La fratellanza umana”. Certo, questo non vuol dire che i problemi posti alle due grandi comunità religiose siano sottaciuti o elusi. Ma c’è la consapevolezza che le sfide globali, come la povertà, la guerra, la violenza e il terrorismo, impongano ai credenti una risposta che parta proprio dalla comune appartenenza alla famiglia umana».

Cosa lega Francesco alla Penisola arabica?

«Che l’incontro si tenga negli Emirati Arabi Uniti è senz’altro un altro punto di grande interesse. Si tratta della prima visita di un Papa nella Penisola arabica, culla dell’islam, e questo ha un alto valore simbolico. Ma ricordiamo che gli Emirati, e tutti gli altri Stati della Penisola arabica, sono anche luogo di una importante presenza cristiana, nell’antichità, ma soprattutto oggi. Sono centinaia di migliaia i cristiani di diversa denominazione che lavorano negli Emirati e negli altri Paesi dell’area, per lo più provenienti dal sud e sud-est asiatico, con percentuali altissime. La federazione dei sette Emirati Arabi, con quasi 10 milioni di abitanti, conta la presenza di oltre cento nazionalità diverse (e gli emiratini di nascita sono solo una minoranza), tra cui moltissimi lavoratori indiani, filippini, ma anche cittadini di diversi Stati europei, anche italiani, con una presenza di circa il 14% di cristiani secondo alcune stime».

Quali impressioni ha ricavato dai contatti che lei ha avuto?

«Quando alcuni anni fa ho visitato Abu Dhabi, l’allora consigliere presidenziale per gli affari culturali, un altro grande protagonista del dialogo islamo-cristiano, Ezzeddin Ibrahim, mi raccontava la particolarità di questo paese in cui l’islam è osservato in maniera rigida, ma c’è apertura e rispetto per le culture e le religioni mondiali. Ci sono molti cattolici, ma anche cristiani ortodossi, come i copti, e presenze delle antiche Chiese orientali, evangelici, anglicani. Da segnalare è anche una piccola minoranza di musulmani sciiti. La presenza di questa multietnica comunità di lavoratori stranieri ha spinto gli Emirati verso una politica religiosa diversa da quella adottata da altri stati della regione. Il culto cristiano è consentito (ma il passaggio dall’islam a un’altra religione è severamente punito), anzi, lo Stato ha donato terreni e autorizzato la costruzione di diverse chiese per le varie comunità presenti. Inoltre, nella giornata conclusiva della sua visita, il Papa, fatto anch’esso storico, presiederà una celebrazione eucaristica in un luogo pubblico, nel grande stadio di Abu Dhabi che può ospitare fino a 43mila persone. Tutto questo ha contribuito senz’altro al fatto che la prima visita di un Papa nella Penisola arabica si svolgesse proprio qui».

Perché Francesco ha accettato l’invito del principe ereditario?

«Il mese scorso eravamo al Cairo con alcuni amici di Sant'Egidio in visita presso il Grande Imam di al-Azhar. Proprio lui ci ha raccontato l’iter che ha portato a questo risultato, sottolineando che la Santa Sede e gli Emirati Arabi Uniti hanno buone relazioni da tempo e che la visita risponde non solo all’invito del principe ereditario, che era stato ricevuto in Vaticano nel settembre 2016, ma anche a quello della Chiesa cattolica locale. Credo che l’accettazione dell’invito avrà un impatto importante su vari fronti: rafforzare il cammino del dialogo interreligioso, promuovere il lavoro comune dei credenti delle religioni mondiali per la pace e la comprensione tra mondi religiosi e culturali diversi e, non ultimo, dare un sostegno e un incoraggiamento ai tanti lavoratori cristiani presenti nella Penisola, che spesso vivono situazioni di grande difficoltà».

Come vede Francesco il dialogo con l’Islam?

«Anzitutto, il Papa ha affermato in varie occasione che cristiani e musulmani sono fratelli e questa non è una parola scontata per lui. La geografia dei viaggi di Papa Francesco pone una grande attenzione agli incontri con rappresentanti dell’islam. Si pensi al viaggio in Myanmar e Bangladesh con il toccante incontro con i profughi Rohingya, a quelli in Egitto, Azerbaigian, Repubblica Centrafricana. In ognuno di questi contesti c’è stato un evento con le autorità musulmane. Il Papa è convinto, come disse al Cairo nel 2017, che “l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture”. Il dialogo è uno dovere per i cristiani, dice il Papa. Un dialogo che “prima ancora di essere discussione sui grandi temi della fede, è una conversazione sulla vita umana”, una condivisione quotidiana e concreta della vita e del futuro da costruire insieme. Il futuro dell'umanità e la costruzione della civiltà dipendono dalla capacità di aprirsi con rispetto al dialogo con l'altro. Il dialogo è una parola chiave per Francesco ed è un compito che spetta a tutti: questo è un punto chiaro nell'insegnamento di Francesco. Al Cairo mi ha colpito una sua affermazione: “L’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è la inciviltà dello scontro”. Per il Papa, il dialogo è un argine contro la violenza e il terrorismo, e la fraternità tra i credenti è l'ossigeno che fa respirare il mondo. Questo lo si legge in particolare in tutti i suoi discorsi con rappresentanti musulmani dove i riferimenti al magistero di Giovanni Paolo II sono sempre presenti».

Cosa unisce e cosa distingue Francesco dai suoi predecessori sotto il profilo del confronto tra le fedi?

«Mi sembra che ci sia da Giovanni Paolo II a Francesco, passando per Benedetto XVI, una continuità nella linea dello spirito di Assisi. Benedetto XVI partecipò a Napoli nel 2007 all’incontro interreligioso nello spirito di Assisi organizzato da Sant’Egidio e ricordo che al ricevimento inaugurale pranzò proprio assieme al consigliere Ezzeddin Ibrahim che veniva dagli Emirati, di cui ho parlato poc’anzi. E nel 2011, Benedetto promosse ad Assisi una giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace. Per il trentesimo anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace che Sant’Egidio ha organizzato ad Assisi, Papa Francesco ha voluto essere presente, sottolineando la forza mite e umile della preghiera in un tempo di guerre, terrorismo e violenza. Ho notato, allora, da parte della delegazione musulmana che era molto diversificata, con presenze importanti da Egitto, Iraq, Libano e altri Paesi islamici, un grandissimo interesse e rispetto, ma anche una certa emozione nel salutare il Papa al quale non solo riconoscono una grandissima autorevolezza morale, ma cominciano a sentirsi legati da un legame di sincera amicizia».

I commenti dei lettori