Aveva sempre chiesto a Dio di morire «rapidamente». Invece la sua fine fu lenta, preceduta da lunghi periodi di malattia alternati ad altri meno pesanti, protrattisi quasi due anni. Sino quando, per un collasso cardiaco, Pio XI, se ne andò. Era l’alba del 10 febbraio 1939, ottant’anni fa. Secondo il suo successore: «Il male che doveva mettere fine a un'esistenza così nobile, fu lungo, doloroso, lancinante. Ma Pio XI si mostrò degno della sua forza evangelica: non si irrigidì, né si proibì di lamentarsi: cercava di non abbattersi e rimase senza ostentazioni al suo posto di comando». Immediati gli elogi unanimi, da ogni parte del mondo, giunti subito in Vaticano. «Quando si pensa a tutto ciò che il suo genio realizzatore ha compiuto, non si è lontani al credere che si possa dare alla storia religiosa del XX secolo il nome di “secolo di Pio XI”…». Così, non senza enfasi, uno dei primi biografi, il sulpiziano Réné Fontenelle, corrispondente a Roma per La Croix. 

 

Una morte - quella di Papa Ratti- avvenuta alla vigilia del decennale dei Patti Lateranensi, e, secondo alcuni storici, a poche ore da un’annunciata presa di distanza dal regime fascista. Pio XI infatti - che fra l’altro solo il mese prima aveva ricevuto il testo dell’enciclica «scomparsa» o «incompiuta», la Humani Generis Unitas redatta dal gesuita statunitense John LaFarge (non riuscì a farla pubblicare, anche per l’ostilità di settori della Curia) - aveva preparato un discorso da pronunciare ai vescovi italiani convocati a Roma per l’anniversario dell’11 febbraio.

Un discorso che venne tenuto segreto, poi, alla morte, subito fatto distruggere, del resto come previsto, dal segretario di Stato. Papa Ratti l’aveva fatto battere a macchina dal segretario particolare monsignor Carlo Confalonieri e, l’8 febbraio, l’aveva dato in lettura al cardinale Pacelli che, dopo averlo visto, suggerì «alcune modifiche» subito portate alla «stanza segreta della tipografia». Così Domenico Tardini, allora addetto alla Segreteria di Stato presieduta da Pacelli, in un documento riportato da Emma Fattorini nel suo volume einaudiano Pio XI, Hitler e Mussolini, dove pure è riportato un altro testo di Tardini con le istruzioni pacelliane per far distruggere tutto il materiale comprese le bozze e i piombi del discorso, che sappiamo invece fu conservato: nel ’59, infatti, sarebbe stato Giovanni XXIII a citarne alcuni passaggi, proprio ricordando il XX anniversario della morte di Pio XI, mentre alla Fattorini si deve la prima analisi del testo completo.

Ma a parte l’enfasi su questo discorso, è pure noto che in quell’occasione Pio XI avrebbe voluto ascoltare di persona i vescovi italiani sulla situazione politica del Paese e che più d’uno si attendeva un pronunciamento papale «pericoloso». «Il Santo Padre, quello che farà, non lo dice a nessuno; ma certo farà qualche cosa di grosso», questa la risposta al ministro degli Esteri Galeazzo Ciano da parte del nunzio apostolico Francesco Borgongini Duca.

 

Ricordati questi particolari (importanti anche perché cronologicamente vicinissimi alla morte di Pio XI), pur convenendo con quanti per Ratti parlano di un Papa a lungo dimenticato, occorre tuttavia riconoscere che la sua figura ha iniziato un po’ad uscire dal cono d’ombra. È accaduto a partire da 2006, con l’apertura degli archivi vaticani sul suo pontificato. Da lì Achille Ratti ha iniziato ad attirare l’attenzione di storici italiani e stranieri. In ordine sparso: Yves Chiron con Pio XI. Il Papa dei Patti lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi (Edizioni San Paolo); Lucia Ceci con due libri di sulla posizione di Ratti circa la guerra all’Etiopia e il tempestoso rapporto con il fascismo: Il Papa non deve parlare e L’interesse superiore (Laterza); la già ricordata Fattorini con Pio XI, Hitler e Mussolini (Einaudi); Hubert Wolf con Il Papa e il diavolo (Donzelli); David Kertzer con Il patto col diavolo. Mussolini e Papa Pio XI (Rizzoli), ma pure Alberto Guasco con Cattolici e fascisti (Il Mulino). Ed altri ancora.

 

A tenere alta la memoria del Papa brianzolo e a divulgarne l’opera, contribuiscono anche il Centro Internazionale di Studi e Documentazione Pio XI, e l’Associazione “Amici della Casa natale Pio XI”. Hanno sede a Desio, il paese di Achille Ratti, proprio presso la Casa natale di proprietà dell'omonima fondazione (visitata da Giovanni Paolo II nel 1983), che ha assunto pure nuova vocazione culturale come sede del Museo Pio XI (le sale custodiscono cimeli appartenuti al pontefice provenienti principalmente dai Palazzi Vaticani).

E anche questa volta Desio non dimentica l’anniversario della morte del grande concittadino - l’ottantesimo - insieme al novantesimo della stipula dei Patti Lateranensi. La maggior concentrazione di eventi è per il prossimo 9 febbraio presso la Casa natale di Pio XI (via Pio XI, n. 4). Si comincia alle ore 15 con i saluti di benvenuto delle autorità e con monsignor Ennio Apeciti: il rettore del Pontificio Seminario Lombardo dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma proporrà un intervento dal titolo “Quel tanto di territorio che basti”, affrontando i temi del Trattato e del Concordato tra Santa Sede e Italia fra due anniversari (1929-1984-2019). Alle ore 16 la presentazione del nuovo volume che raccoglie gli Atti della decima edizione del convegno “Pio XI e il suo tempo”, un seminario di studi aperto a Desio il 10 febbraio 2018 dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini e conclusosi con una solenne concelebrazione presieduta da monsignor Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in Polonia. A questo hanno partecipato numerosi storici (Ennio Apeciti, Umberto Dell’Orto, Francesco Galli, Sergio Palagiano, Fabrizio Pagani, Maddalena Peschiera, Giorgio Vecchio, Paolo Alfieri, Massimo Angeleri, Bruno Maria Bosatra, Matteo Brera, Edoardo Bressan, Franco Cajani, Francesco Ferrari, Valerio Lazzerini, Mónica Fuster, Federico Gallo, Mario Grignani, Maurizio Pegrari, Carlo Pioppi, Domenico Rocciolo, Paolo Valvo, Annibale Zambarbieri. Qui l’intervento è di Fabrizio Pagani, dell’Archivio Storico Diocesano di Milano.

Alle 17 infine l’appuntamento intitolato “Il grande Pontefice della Conciliazione, il monumento funebre a Pio XI di Giannino Castiglioni”: relatori il sindaco di Lierna Edoardo Zucchi e Annamaria Ranzi, referente scientifico del Museo Castiglioni di Lierna. A seguire l’inaugurazione della mostra che, appunto, esporrà il gesso del monumento funebre per il sarcofago di Pio XI realizzato nel ’41 dallo scultore lombardo per le Grotte Vaticane e recentemente restaurato, oltre ad alcuni preziosi cimeli messi a disposizione dai pronipoti di Achille Ratti (la mostra resta aperta sino al 30 giugno). Alle 18, nella Basilica SS. Siro e Materno in piazza della Conciliazione, la solenne celebrazione in memoria di Pio XI.  

Sulla cattedra petrina certamente in anni fra i più tormentati dalla presenza di feroci dittature, Pio XI si prefisse di mantenere vivo l'annuncio cristiano in un contesto politico di segno opposto. Il ricordo della sua morte può costituire l’occasione per richiamare anche certi meriti dimenticati di questo Pontefice del XX secolo (per il quale non è mai stata avviata una procedura di beatificazione), per certi versi schiacciato fra il Papa dell’«inutile strage» Benedetto XV e il successore Pio XII. Un Pontefice, a ben vedere, raramente affrontato in tutta la ricchezza e complessità della sua biografia. Che, all’inizio è quella di un prete appassionato di libri e alpinismo, e va pur cercata dentro trent’anni da lui consacrati all’erudizione. Un periodo che lo vede professore in seminario, passare – nella tempesta del modernismo - dalla prestigiosa Biblioteca Ambrosiana alla Vaticana: affascinato sì dalla scienza (definita come Francesco di Sales, l’«ottavo sacramento»), ma senza rinunce alla vita di pietà («neppure lo studio, è veramente utile senza la pietà»). Poi, ma solo per breve tempo, la sua vita è quella di un diplomatico e di un pastore. Nel primo rimando per la nomina nel 1918 a visitatore apostolico in Polonia e nel 1919 a nunzio apostolico a Varsavia, arcivescovo titolare di Adana (missione delicata per l’invasione comunista del Paese nel 1920). Nel secondo per il ritorno a Milano, con la porpora, servita per un solo anno sulla cattedra di Ambrogio prima di uscire Papa dal Conclave del 1922. E qui le direttrici di un pontificato sono molte di più di quelle di cui ogni tanto si torna parlare. 

Con Ratti che si trova fronteggiare fascismo e nazismo, quasi «religioni politiche» dai disegni totalitari (mentre nell’Urss si consolida l’altro totalitarismo, quello comunista); che dilata gli orizzonti missionari; che vuole ricristianizzare la società con piglio decisionista; che interpreta una sua linea politico-diplomatica connotata dall’ «illusione concordataria»: diciassette concordati o convenzioni con Stati diversi specie se baluardi contro bolscevismo e modernità laica (e tra questi, quello tra la Santa Sede e l’Italia di Mussolini nel ’29 e con la Germania nel ’33, l’anno dell’ascesa di Hitler). Con Ratti, ancora, che segna il suo magistero con tante encicliche in ogni campo (da ricordare qui quella di denuncia del nazismo e del comunismo, la Mit Brennender Sorge e la Divini Redemptoris); che gestisce l’accentramento sotto l’autorità diretta della Santa Sede delle opere missionarie (tra proteste di vescovi e congregazioni condizionate da logiche coloniali); che nomina i primi vescovi indigeni in Cina dando impulso alle Chiese Orientali; che canonizza figure di Santi come Giovanni Bosco, Tommaso Moro, Bernadette, Teresa di Lisieux; che conosce già il peso dei media ed inaugura la Radio Vaticana progettata personalmente da Guglielmo Marconi; che vive il «tempo della guerra» - l’eredità del primo conflitto mondiale, la guerra contro l’Etiopia, poi, nel quadro degli anni Trenta, le differenti guerre contro la Chiesa nella Russia comunista, nel Messico rivoluzionario, nella Spagna repubblicana; che ha una sua posizione sull’antisemitismo e manifesta il suo pensiero sulle leggi razziali…

 

Certo, per una maggior comprensione sua e del suo tempo, occorrerà anche alzare bene i riflettori sull’«entourage» di Pio XI. Dove troviamo fedeli interpreti come il cardinal Gasparri - riconfermato segretario di Stato mentre è ancora nella sua cella del Conclave - o il successore Eugenio Pacelli; e vescovi come Faulhaber, Verdier oppure Schuster; ed esecutori come i gesuiti Ledóchowski e Tacchi Venturi; come pure tecnici ed organizzatori anche laici a lui assai vicini: da Bartolomeo Nogara a Leone Castelli. Ma alla fine ci si potrà persino convincere che, sì, forse è stato lui il primo Pontefice dell'epoca contemporanea. Di certo, tengono a sottolineare i collaboratori del Centro Internazionale di Studi e Documentazione Pio X una cosa ebbe ben chiara: «Che la Chiesa sarebbe stata chiamata nei decenni seguenti ad annunciare il suo messaggio in un mondo profondamente scristianizzato». Inoltre gli va attribuito «un grande merito»: «Quello di aver dotato il Vaticano di tutte quelle strutture che ancora oggi consentono al Papa di dare concretezza al proprio mandato spirituale». 

 

 

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