L’imam Yahya Pallavicini, presidente della Coreis (Comunità religiosa islamica italiana), è il rappresentante dell'Italia al convegno di Abu Dhabi sulla “Fratellanza”, promosso dal Consiglio Musulmano degli Anziani in occasione della visita di papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti. 

Qual è l’importanza di questa iniziativa?

«Rappresenta un nuovo passo mai visto, se non forse 800 anni fa con san Francesco d’Assisi e il sultano a Damietta. È l’azione di un Pontefice aperto al dialogo che riesce a incontrare nel mondo arabo islamico sia cristiani sia musulmani che convergono da diversi orientamenti culturali, nazionali, filosofici, spirituali. In un clima di riconoscimento che esorta a smetterla con i settarismi e invita a convergere e cooperare fraternamente per le sfide sociali del mondo contemporaneo». 

Che significato ha il luogo della visita del Papa?

«Gli Emirati Arabi Uniti stanno vivendo un processo di trasformazione e sono anche autori di un coinvolgimento regionale in questa trasformazione. Da cinque anni sono la capitale di un confronto teologico tra sapienti musulmani, in parte guidato dall’Egitto dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyb, ma anche con altri saggi sia del mondo arabo islamico sia del mondo non arabo musulmano, delle minoranze islamiche occidentali, americane ed europee».

Dopo l’incontro con Francesco, ora qual è la principale responsabilità delle fedi?

«La coerenza. Il fatto di non permettere che questo evento sia riassorbito in un teatrino. Bisogna portare con determinazione e coerenza il riflesso di queste giornate sul piano delle responsabilità istituzionali, delle relazioni con la politica, dell’educazione e formazione delle nuove generazioni. I politici di oriente e occidente, grazie a questo avvenimento e alla generosità di papa Francesco, hanno una carta da giocare fondamentale: quella di stimolare la cooperazione, la fratellanza, il riconoscimento delle diversità come patrimonio e la collaborazione reciproca. Rispettando le diversità di grammatiche, di culture, di identità spirituali, però lavorando insieme per un bene comune universale. Non a parole ma nei fatti». 

Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano La Stampa

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