«Quando il Santo Padre, riferendosi allo scioglimento di una Congregazione, ha parlato di “schiavitù sessuale”, intendeva “manipolazione”, una forma di abuso di potere che si riflette anche in un abuso sessuale». In una nota stringata, diffusa nella mattinata di ieri, il direttore ad interim della Sala Stampa vaticana, Alessandro Gisotti, ha voluto rispondere alle domande di alcuni giornalisti circa le dichiarazioni di Papa Francesco nella conferenza stampa di ieri nell’aereo di ritorno da Abu Dhabi. 

Interpellato sulla problematica degli abusi alle donne, consacrate soprattutto, da parte di membri del clero, piaga che - a partire dalla protesta delle suore indiane - sta emergendo preponderante negli ultimi mesi, Francesco ha affermato che, sì, «è vero, è un problema». Una ammissione che apre un ampio spazio di discussioni e riflessioni in vista del mega summit sugli abusi del 21-24 febbraio.

Il Papa: l’umanità non ha ancora maturato, considera la donna di seconda classe

Il problema, ha spiegato il Papa, trova radice in una concezione sbagliata della donna come essere inferiore che rimane strutturalmente impiantato in diverse culture dei cinque continenti. Non si parla solo dei Paesi dell’islam radicale, dove molte donne vengono private dei diritti più basilari o mercificate - la dichiarazione firmata con il grande imam Al-Tayyeb segna un passo storico in tal senso -, ma anche dell’Occidente cristiano e democratico dove sono all’ordine del giorno notizie di violenze, stalking e femminicidi (94 le vittime in Italia in nove mesi nel 2018) verso mogli, fidanzate, madri, sorelle. «L’umanità ancora non ha maturato: ancora considera la donna di seconda classe», ha detto infatti Bergoglio. 

E purtroppo anche nella Chiesa si riflette questa visione distorta che, in più di un’occasione ha portato a varie forme di perversione e di abusi fisici e psicologici. «È vero, dentro la Chiesa ci sono stati dei chierici che hanno fatto questo», ha sottolineato Bergoglio. «Credo che si faccia ancora: non è che dal momento in cui tu te ne accorgi, finisce. La cosa va avanti così». Da parte della Santa Sede si lavora da tempo sul problema e c’è tutta la volontà di portare avanti questa lotta che - come ha affermato il Pontefice in altre occasioni - mira anzitutto a sradicare una forma malsana di «clericalismo».

La lotta della Chiesa agli abusi e il “coraggio” di Benedetto XVI

In particolare, però, della risposta di Francesco risulta interessante il passaggio in cui, per avvalorare questa dichiarazione di intenti, il Pontefice ha evidenziato che diversi vescovi e sacerdoti sono stati sospesi e mandati via e che pure è stata sciolta qualche congregazione religiosa femminile «molto legata a questo fenomeno, una corruzione», dando il merito al suo predecessore Benedetto XVI che, già nel ruolo di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, «ha avuto il coraggio di fare tante cose su questo tema», seppur quello che si è trovato davanti sia stato un percorso ad ostacoli. 

Non a caso il Papa ha citato un «aneddoto» su Ratzinger che «aveva tutte le carte su una organizzazione religiosa che aveva dentro corruzione sessuale ed economica. Lui provava a parlarne e c’erano dei filtri, non poteva arrivare». Alla fine «il Papa», ovvero il Pontefice dell’epoca Giovanni Paolo II, «con la voglia di vedere la verità, ha fatto una riunione e Joseph Ratzinger se né andato lì con la cartella e tutte le sue carte. Quando è tornato, ha detto al suo segretario: mettila nell’archivio, ha vinto l’altro partito». Poi «appena diventato Papa, la prima cosa che ha detto è stata: portami dall’archivio questo».

Rileggendo a mente fredda le parole di Bergoglio sembra chiaro che il Pontefice parli di due casi distinti: quello della congregazione femminile disciolta e quello dell’organizzazione religiosa su cui Ratzinger era riuscito ad intervenire solo una volta salito sul Soglio di Pietro. 

La vicenda dei Legionari di Cristo

Per quest’ultimo caso il riferimento sembrerebbe alla vicenda dei Legionari di Cristo e del suo fondatore, Marcial Maciel, il prelato messicano amico di diversi esponenti di Curia, rivelatosi un abusatore seriale (di donne ma anche di giovani seminaristi), tossicodipendente, imbrigliato in diverse attività criminali, a cui Benedetto XVI impose una vita di silenzio e preghiere e la rinuncia di ogni ministero pubblico. Su di lui circolavano documenti nei Sacri Palazzi decenni prima che le accuse fossero rese pubbliche, come confermato lo scorso mese dal cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata, che in una intervista ad una testata spagnola dichiarava che «dal 1943» il Vaticano disponeva di documenti a sostegno delle accuse contro il fondatore dei Legionari, e che per anni sono state occultate. Chiunque lo abbia fatto «era una mafia, non la Chiesa», diceva il porporato brasiliano.

La comunità di St. Jean, disciolta nel 2013 dopo “ribellioni” e scandali sessuali

Il caso della congregazione femminile che il Papa emerito ha sciolto sarebbe invece quello delle Suore Contemplative di St. Jean, comunità francese nata spiritualmente nella diocesi di Friburgo ad inizio anni ’70 su ispirazione del professore dominicano padre Marie-Dominique Philippe, scomparso nel 2006, del quale nel 2013 emersero gravi «violazioni della castità» nei confronti di religiose di cui era padre spirituale. Le testimonianze delle vittime furono definite «coerenti e credibili» dalla stessa congregazione che rese pubbliche le notizie. 

Eretta canonicamente nel 1978, la comunità di St. Jean si era sviluppata in quattro rami: frati, oblati laici, suore apostoliche, suore contemplative. Quest’ultimo ramo fu fondato insieme ad una suora spagnola, madre Alix, ed è proprio quello ad essere stato disciolto da Ratzinger tramite il cardinale Tarcisio Bertone, all’epoca segretario di Stato vaticano, nominato delegato pontificio per il governo dell’istituto, con un rescritto del 10 gennaio 2013 (quindi circa un mese prima della rinuncia di Benedetto XVI) dopo una serie di “dissidenze” da parte dei membri.

Bisogna, però, fare un passo indietro. Sulla congregazione era già stata avviata una lunga indagine in seguito ad accuse - alcune risalenti agli anni ’90 - da parte di alcune organizzazioni di pressioni psicologiche verso gli adepti, spinti a rompere totalmente i legami con i familiari, e l’assenza di cure mediche, e anche di un mancato rispetto verso certe regole della Chiesa cattolica e di metodi formativi troppo vicini a quelli delle sette. 

Nonostante il rifiuto di ogni accusa da parte dei vertici della comunità, al servizio da anni di più di venti diocesi in Francia, nel 2009 il cardinale Philippe Barbarin su ordine della Congregazione per la Vita consacrata, presieduta dal cardinale Franc Rodé, aveva congedato la priora generale delle contemplative suor Alix sostituendola con un’altra suora, madre Johanna, rifiutata dalle consorelle che ritenevano la fondatrice «una superiora senza pari».

Nello stesso anno, con la volontà di vederci ancora più chiaro, la Congregazione per la Vita consacrata aveva nominato un primo Commissario pontificio dell’istituto, monsignor Jean Bonfils, emerito di Nizza, dimessosi dopo due anni per non essere stato in grado di risolvere i conflitti interni alla comunità. Nel 2011 gli successe monsignor Henri Brincard, vescovo di Puy-en-Velay, nominato commissario pontificio per le Suore contemplative. 

Non hanno tardato ad arrivare all’epoca critiche e polemiche da parte delle suore contro le decisioni del vescovo, accompagnati anche da ricorsi quasi tutti respinti per mancanza di fondamenti giuridici. Non ha tardato ad arrivare anche l’intervento di Benedetto XVI che, davanti alla mancata richiesta di tenere quanto prima un Capitolo generale per eleggere il proprio governo, nei primi mesi del 2012 ha nominato Bertone suo delegato. Negli stessi anni, intanto, un centinaio di novizie e professe semplici avevano lasciato la congregazione fondando nuove associazioni pubbliche di fedeli, in particolare una a Cordoba, in Spagna, «in vista di diventare un istituto religioso». Davanti a questa serie di “ribellioni” la congregazione è stata sciolta nel 2013, un mese prima della rinuncia di Benedetto.

Abusi alle suore in Africa

Tornando invece al tema degli abusi sulle religiose affrontato dal Papa nel colloquio in aereo non si può non menzionare il caso dell’Africa, dove le accuse di violenze alle suore da parte di membri del clero assume i tratti di una vera e propria emergenza, quasi più della stessa pedofilia. Nel 2010, un documento pubblicato dal National Catholic Reporter riportava la denuncia presentata in via riservata in Vaticano nel 1995 a firma di suor Maura O’Donohue, medico e specialista dell’Aids, e un’altra inviata nel 1998, a firma di suor Marie McDonald, superiora delle Missionarie di Nostra Signora dell’Africa. Nei documenti si parlava di violenze da parte di sacerdoti a danno di diverse religiose, vergini e quindi oggetto sessuale più “sicuro” per il timore del contagio dell’Aids. In alcuni passaggi veniva riportato inoltre di suore rimaste incinta dopo le violenze e costrette ad abortire. 

È una problematica, questa degli abusi sulle consacrate, che investe quasi tutta l’Africa, in particolare quelle zone in cui permane una visione denunciata dal Papa di una donna oggetto, subordinata al maschio o essere di serie B.  E se a livello sociale questo porta a «schiavitù» o a crimini più orribili come mutilazioni genitali e lapidazioni, nella Chiesa africana si riflette in una disistima della vita femminile consacrata da parte di vescovi, preti e laici, che spesso sfocia anche in abusi e maltrattamenti, non solo fisici ma anche psicologici. Inoltre la dipendenza economica dalla diocesi di tante piccole congregazioni religiose femminili ha rappresentato in più di un’occasione un freno alla denuncia di eventuali violenze. 

La protesta delle suore in India contro il vescovo accusato di abusi 

Infine non va ignorata la protesta - che non ha precedenti considerato il contesto - messa in piedi l’anno scorso dalle suore indiane del Punjab, scese in strada con cartelloni e striscioni in difesa di una consorella che afferma di essere stata oggetto di ripetute violenze sessuali dal 2014 al 2016 da parte del vescovo di Jullundur, Franco Mulakkal, che si dichiara innocente ma che è stato arrestato il 22 settembre 2018 dalla polizia del Kerala, poi rilasciato su cauzione dopo quattordici giorni. Neanche qualche settimane fa le religiose, che, supportate da laici hanno proseguito nelle loro manifestazioni, hanno diffuso la lettera inviata al capo del Governo dello Stato indiano del Kerala, Pinarayi Vijayan, in cui denunciano «minacce imminenti» da parte del vescovo «in connivenza con le autorità della nostra congregazione religiosa per aver aiutato la vittima». E affermano di essere aver ricevuto intimidazioni di trasferimenti per non testimoniare al processo contro il presule. 

In Africa e in Asia mancano linee guida contro gli abusi

Ci sono, dunque, questioni profondamente radicate soprattutto in Asia e Africa, dove, peraltro, le Conferenze episcopali erano state invitate otto anni fa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a stilare linee guida per prevenire casi di abusi, senza che mai però fosse elaborata alcuna risposta. Perciò, come ha detto il Papa, non basta la sola denuncia. Serve un cambiamento di mentalità a livello culturale e sociale, e il primo impulso potrebbe e dovrebbe provenire proprio dalla Chiesa.

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