I Paesi arabi si dividono di fronte alla nuova coalizione anti-Iran che gli Stati Uniti lanceranno al summit di Varsavia. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha scelto la capitale europea più allineata con la politica estera americana, ma questo ha pesato sulla riuscita del vertice. A Varsavia arriveranno delegazioni guidate da ministri di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein, Marocco, Oman, Yemen, Giordania. Mentre Egitto e Tunisia manderanno solo dei viceministri. Fatte le sottrazioni vuol dire che Teheran può contare sul sostegno o la neutralità di Algeria, Libia, Sudan, Libano, Siria, Iraq, Kuwait, Qatar, oltre che su quello della Turchia, potenza sunnita non araba. Al fronte filo-iraniano si è unito all’ultimo momento il presidente Abu Mazen, che ha rinunciato a partecipare perché «gli Stati Uniti non hanno un ruolo credibile dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele».

Nethanyahu e i leader arabi

Se alcune defezioni erano prevedibili, il fronte anti-ayatollah appare meno folto di quanto sperato. Per questo Pompeo ha ammorbidito i toni. Da mobilitazione contro «l’influenza destabilizzatrice di Teheran» l’obiettivo dell’incontro è diventato quello di favorire la «stabilità e alla pace regionale», una formula più neutra che può trovare il consenso di tutti. Ma, al di là del contrasto alla politica iraniana nella regione, il summit di Varsavia serve anche come occasione di incontro fra il primo ministro Benjamin Netanyahu, che partecipa in qualità di ministro della Difesa e degli Esteri, e i leader arabi. Il premier israeliano ha avviato un’offensiva diplomatica nei Paesi musulmani sunniti, con visite in Oman, in Ciad e a fine marzo anche in Marocco. Le strette di mano serviranno anche ad aprire nuove porte.

Vista in questa prospettiva il vertice fa comunque gioco alla politica mediorientale del duetto Trump-Netanyahu anche se ha lasciato freddi i maggiori Paesi europei, con l’eccezione della Gran Bretagna, che invierà il ministro degli Esteri Jeremy Hunt.

La stoccata di Trump

L’Europa è impegnata in una difficile trattativa per salvare quel che resta dell’accordo sul programma nucleare firmato nel luglio del 2015. Le tensioni con Teheran sono sempre più forti e una sfilata di ministri a Varsavia le avrebbe aggravate. La Repubblica islamica, impegnata nei festeggiamenti per il 40esimo anniversario della rivoluzione, ha cercato di minimizzare l’impatto dell’iniziativa americana, un «disperato circo anti-iraniano» secondo il ministro degli Esteri Javad Zarif.

Zarif ha anche ribattuto alle accuse di antisemitismo e ha ricordato l’aiuto dell’Iran «a centomila ebrei polacchi durante la Seconda guerra mondiale», mentre nelle strade di Teheran migliaia di manifestanti sfilavano con cartelli come «con grande dispetto dell’America, la rivoluzione compie quarant’anni». Alle autocelebrazioni degli ayatollah ha risposto con un tweet, in lingua farsi, Donald Trump: «Quarant’anni di corruzione, 40 anni di repressione, 40 anni di terrore: il regime iraniano ha prodotto soltanto 40 anni di fallimenti».

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