Dalla distanza, al collateralismo, all’impegno politico diretto, il cammino del movimento pentecostale latino-americano è praticamente concluso. Il credente di fede protestante che mezzo secolo fa si guardava bene dall’immischiarsi con la politica adesso considera del tutto naturale che «il fratello debba votare per il fratello». Diventati maggiorenni, i moderni eredi dell’antica Riforma protestante innalzano le bandiere della politica partitica in pressoché tutto il continente. Perché gli evangelici – come scrive un attento studioso della loro incarnazione e sviluppo in America Latina, il peruviano José Luis Pérez Guadalupe – «sono arrivati nel continente latinoamericano per rimanervi, sono rimasti per crescere e sono cresciuti per conquistare».

A cosa si deve questa trasformazione tutto sommato sorprendente e relativamente rapida della visione tradizionale dell’evangelismo latino-americano? La metamorfosi evangelica, il passaggio dal proclamato distanziamento, al neo-collateralismo fino all’impegno in politica con partiti o candidati propri, è innanzitutto il risultato della loro stessa espansione e dunque della consapevolezza di rappresentare una forza d’urto elettorale in grado di modificare gli equilibri politici di una nazione e di una regione. 

Gli studi sulle modificazioni dell’universo religioso nel continente latino-americano non sono molti, e tra i pochi conviene citare i più conosciuti, quelli della Corporation Latinobarómetro, una agenzia privata con sede centrale a Santiago del Cile, e il Pew Research Center, un think thank statunitense con sede a Washington, entrambe specializzate in sondaggi d’opinione su temi di portata continentale. Stando ad un rapporto della prima delle due istituzioni, Latinobarómetro, il cattolicesimo latino-americano è diminuito di 13 punti percentuali tra il 1995 e il 2014, con flessioni più accentuate in paesi dell’America Centrale come il Nicaragua (-30), l’Honduras (-29) e la Costa Rica (-19). In questi stessi paesi gli evangelici sono cresciuti in maniera inversamente proporzionale al retrocesso cattolico, confermando così che la grande maggioranza degli eredi di Lutero in America Latina sono neoconvertiti provenienti dalle fila cattoliche.

I dati di sintesi del Pew Research Center aggiornati anch’essi al 2014 mostrano che i cattolici latinoamericani sono scesi al 69% della popolazione totale, mentre gli evangelici nel loro insieme sono saliti al 19%. Nei tre Paesi dell’America Centrale già citati – Nicaragua, Honduras, Costa Rica - la realtà evangelico-pentecostale è cresciuta a tal punto che nel prossimo futuro potrebbe strappare alla Chiesa cattolica la sua preminenza storica, saldando le distanze che ancora la separano dal cattolicesimo romano (6 punti percentuali in Honduras, 7 in Guatemala e Nicaragua, 10 punti a Panama). 

Alla generalizzata crescita evangelica ci sono due eccezioni che vale la pena segnalare perché potrebbero rappresentare il vero trend del futuro. L’Uruguay, unico Paese della regione latino-americana dove il secondo gruppo maggioritario non sono protestanti variamente declinati ma gli atei senza affiliazione religiosa dichiarata. Ancor più anomalo è il caso del Cile contraddistinto da una impressionante caduta di fiducia verso la Chiesa cattolica che al momento registra 124 processi di pedofilia in corso, con 222 vittime dichiarate e 178 investigati, dei quali 105 sono sacerdoti e otto vescovi. L’ultima inchiesta del 2018 realizzata dal Centro de Estudios Públicos, una fondazione accademica cilena dedita all’analisi di temi pubblici, mostra che solo un cileno su dieci mantiene una certa fiducia nella Chiesa, con una discesa a picco di chi ne apprezza la dottrina e l’opera dal 51% al 13% in due decenni.

Ma a differenza di altri Paesi come il Brasile o il Guatemala, dove gli evangelici hanno guadagnato quasi tutto il terreno lasciato libero dalla Chiesa cattolica, in Cile il maggior incremento si osserva tra coloro che non si identificano con nessuna religione, che sono triplicati negli ultimi due decenni passando dal 7% al 24 attuali.

Si capisce che la forza religiosa crescente dell’evangelismo, e l’indebolimento del cattolicesimo, si traduca anche in una volontà degli evangelici di acquisire spazi e condizionare processi a tutto vantaggio della realtà che rappresentano. La tentazione di gettare nell’agone politico una massa di votanti di proporzioni considerevoli è diventata irresistibile con il passare del tempo. E se all’inizio del ventesimo secolo la lotta dei protestanti - luterani, anglicani, presbiteriani, battisti, metodisti e pentecostali - era volta ad affermare e promuovere la libertà di coscienza e la separazione tra lo Stato e la Chiesa anche a presso di spregiudicate alleanze con la massoneria e altri movimenti dichiaratamente anticattolici, oggi gli obiettivi sono completamente cambiati e le molteplici denominazioni pentecostali mostrano una acuta sensibilità per battaglie elettorali dove sono in gioco valori che contraddistinguono in senso antropologico la convivenza di una società

Osservando il comportamento politico degli evangelici in un numero crescente di Paesi dell’America Latina si può vedere che la loro forza elettorale si coagula in prima battuta attorno a tanti “no” pronunciati a modifiche legislative che “aggiornano” i parametri morali vigenti in una nazione ai cambiamenti culturali profondi avvenuti nella società. I pastori delle denominazioni pentecostali si oppongono all’aborto, alle unioni omosessuali, alla legalizzazione della marijuana, all’introduzione dell’educazione di genere nelle scuole, a cui si aggiunge la lotta alla corruzione nel nome della moralizzazione della politica e l’inasprimento delle leggi contro la criminalità. E quando questi temi entrano nei programmi elettorali dei partiti laici la convergenza degli evangelici su candidati propri o “esterni” per contrastarli è diventata vieppiù massiccia.

Resta da chiedersi quale sia la fisionomia, o la performance più recente, del movimento evangelico che ha incorporato la partecipazione politica diretta come forma della sua presenza e del suo rapporto con le società dell’America Latina. Samuel Escobar, emerito cattedratico di Missiologia al Palmer Theological Seminary of Pennsylvania, parla con cognizione di pastore di una «seconda ondata di missionari, più moderni e di evidente influenza conservatrice americana» che «è riuscita a posizionare socialmente gli “evangelici” al punto che non si parla più di protestanti: essere evangelico è una forma speciale di essere protestante».

Il teologo protestante tedesco, pastore luterano, Heinrich Schäfer, dà conto del cambiamento profondo intervenuto nella fila dei discendenti di Lutero centrando l’attenzione sul concetto di grazia, che «nel protestantesimo storico è fortemente oggettivo e assume la missione e l’educazione come modi di esercitare influenza nella società», mentre nel protestantesimo evangelico prevale «un concetto di missione, fortemente conversionista, orientato verso una crescita quantitativa della Chiesa, e la sua etica sociale è subordinata agli interessi della missione».

L’incursione nella politica di partito dei nuovi evangelici non avviene in forza di un pensiero sociale che ne abbia accompagnato lo sviluppo e la trasformazione ma per il potenziale elettorale ed una chiara influenza conservatrice americana, basata su una «teologia della prosperità» e una visione «ricostruzionista» del mondo. Siamo in presenza, insomma, di «un nuovo tipo di protestantesimo, più politicamente conservatore, anticomunista e anti-ecumenico, cioè anticattolico, che, contrariamente ai suoi predecessori, raggiunge una notevole crescita numerica attraverso strategie di evangelizzazione e diffusione di massa, compresi i media e le cosiddette tecnologie dell'informazione».

Dire mezzi di comunicazione di massa è dire potere e dire potere è dire politica. Gli evangelici lo hanno imparato con rapidità e anche in America Latina dispiegano a tutto campo e in funzione politica il potente arsenale di media di cui dispongono sempre puntando a nuove acquisizioni. L’ultima è stata annunciata all’inizio del 2019 e riguarda nientemeno che la catena televisiva Cnn. Douglas Tavolaro, nipote e biografo del magnate brasiliano e pastore evangelico Edir Macedo, fondatore della Chiesa Universale del Regno di Dio, sarà l’amministratore delegato di Cnn Brazil, un franchising della catena americana.

Un affare senza precedenti nella storia del Brasile, che si concretizza dopo che Macedo ha allineato pubblicamente il suo impero mediatico alle posizioni del governo del presidente eletto Bolsonaro. Per avere un’idea della magnitudine del progetto basti pensare che - stando a dichiarazioni raccolte dall’agenzia argentina Telam - verranno assunte 800 persone, tra cui 400 giornalisti, con redazioni a San Paolo, Rio de Janeiro e Brasilia. 

 

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