È la discussione più antica del mondo. Se ne parla con insistenza dal 1958, quando la senatrice veneta Lina Merlin chiuse, e bisogna vedere davvero se per sempre, le case chiuse. Ogni tanto il dibattito torna. Anche Matteo Salvini era uscito allo scoperto: «Se dobbiamo sconfiggere la criminalità, togliamo dalle strade la prostituzione. Va regolamentata e tassata come nei Paesi civili». È seguita poi la proposta di legge del senatore della Lega Gianfranco Rufa che prevede il divieto dell’esercizio della professione nei luoghi pubblici, e la regolamentazione del fenomeno con annessa tassazione del lavoro autonomo. Una proposta riveduta e corretta spuntata ora pure alla Regione Veneto. Dove il consigliere Antonio Guadagnini del gruppo indipendentista Siamo Veneto punta all’istituzione di un albo delle lavoratrici del sesso in ogni Comune: «Oggi lavorano in Italia 70 mila prostitute. Quasi la metà secondo i dati della Commissione Affari sociali della Camera sono immigrate. Duemila sono minorenni e altrettante sono ridotte in schiavitù e costrette a vendersi. Il fenomeno è dilagato in strada. Le case chiuse si sono trasformate in appartamenti, stanze d’albergo compiacenti e automobili».

L’idea è che le prostitute diventino lavoratrici autonome come tutte le altre. Con il diritto di ricevere il dovuto compenso pattuito, l’obbligo di avere una partita Iva e di emettere fattura e, soprattutto, di pagare le spese sanitarie, previdenziali e fiscali.

Con gran giovamento delle casse dello Stato, sembra capire stando ai conti fatti dallo stesso consigliere regionale veneto: «Il giro d’affari è stimato in 25 miliardi di euro, con 9 milioni di clienti l’anno. Solo in Veneto il giro d’affari potrebbe essere attorno ai 3 miliardi. Se questi 25 miliardi venissero fatturati ci sarebbero introiti miliardari per lo Stato». Nel pacchetto della proposta di legge regionale si fanno pure i conti sulle pene da comminare per stroncare la prostituzione di strada. Pene assai pesanti si capisce: «Pena pecuniaria da 5 mila a 50 mila euro per la prostituta che non si registra. Multa di 100 mila euro e fino ai 15 anni di carcere per chi istiga alla prostituzione. Che diventano l’ergastolo e una sanzione fino a mezzo miliardo se l’istigazione e lo sfruttamento riguarda la prostituzione minorile».

Il progetto di legge regionale finirà probabilmente già settimana prossima in commissione dove potrebbe pure passare con l’appoggio della Lega e del centrodestra. Poi dovrebbe esserci la discussione in aula a Palazzo Ferro Fini, dove le opposizioni promettono sfracelli, prima di un eventuale invio al Parlamento, l’unico titolato a legiferare. Tanto per dire Stefano Fraccaro, capogruppo del Pd in Regione, giura che non voteranno la proposta per tante ragioni: «Non si può pensare di cercare di fare emergere il sommerso della prostituzione come se fosse un idraulico che non ti fa la fattura. I racket sono impermeabili alle proposte di legalizzazione. Quello della prostituzione è un fenomeno di marginalità e sfruttamento. Ed è lì che bisogna intervenire. Questa proposta mi sembra una di quelle cose che fanno discutere ma servono solo a mettersi la coscienza a posto».

Anche i 5 Stelle che pure stanno al governo di Roma con la Lega e in Veneto sono all’opposizione dovrebbero votare contro. Iacopo Berti il loro capogruppo in Regione però non si sbilancia più di tanto: «Sono questioni di cui si sta occupando un apposito nostro gruppo di lavoro a Roma. Se devo dire, noi crediamo in altri tipi di legalizzazione, un po’ più seri tipo quello della cannabis. E poi se devo dirla tutta basta guardare quante proposte di legge regionali diventano poi leggi dello Stato. In Veneto, da quando esiste questo istituto, il saldo è zero». Critiche che nemmeno sfiorano l’indipendentista Antonio Guadagnini che insiste: «Chiunque può trovare ragazze disponibili in rete o negli annunci sui giornali. Il fenomeno è dilagato e facciamo finta di non accorgercene. Ma la legge di oggi va cambiata perchè non ha portato proprio ad alcun risultato».

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