“Il sussidio sociale, che vergogna il sussidio sociale”. Può ben dirlo chi, dopo una vita di lustrini e applausi, si trova parcheggiato nel cimitero degli elefanti, ovvero in una di quelle case di riposo per vecchie glorie del teatro dove risuona senza sosta una chiacchiera fatta di ricordi, di rimpianti, di nostalgie, di sentimenti fintamente solidali e in realtà acidi di rancore. Aspettando che cosa? “Aspettando che ci mandino via”, perché gli elefanti prima o poi diventano inservibili e perché la fine, signori cari, prima o poi cancella le distanze.

Malinconia dei vuoti a rendere, si capisce. Ma anziché scivolare sulla strada della lagna, la situazione si addobba di fuochi d’artificio e diventa la scoppiettante festa di “Quartet”, la commedia di Ronald Harwood messa in scena da Patrick Rossi Gastaldi e affidata all’estro interpretativo di quattro attori senz’altro gloriosi, ma che per fortuna e per attestato di servizio non potremmo mai definire “vecchi”. Si tratta di Giuseppe Pambieri, Paola Quattrini, Erica Blanc e Cochi Ponzoni. Nei panni dei quattro ex cantanti d’opera finiti all’ospizio fra coristi e musicanti, essi fanno crepitare il testo (da cui Rossi Gastaldi ha eliminato le figure secondarie) con le risorse di un’arte comica che in certi momenti sa sfiorare il sublime.

Nel restituirci i battibecchi, i sentimenti e i risentimenti che esplodono una volta strappato il velo della buona educazione, Harwood è un maestro. Voleva fare l’attore. A diciassette anni si trasferì dal Sud Africa a Londra per studiare recitazione, ma poi preferì lavorare dietro le quinte, preferì scrivere e ci diede il capolavoro di “Servo di scena”. Non possiamo dire che “Quartet” sia a quel livello, anche se la sua fortuna è stata grande, anche se ha ispirato qualche anno fa il bel film di Dustin Hoffman. Ciò che forse gli manca è la compattezza del nucleo, che provoca un dialogo a volte ripetitivo e altre volte un po’ sfilacciato, ma nel complesso è una delizia.

Quel che dà succo alla commedia, e che guida la regia di Rossi Gastaldi, sono le personalità e le caratterizzazioni dei quattro astri al tramonto. Sono il tenore Rudy, che occupa il tempo indagando fra le note di Wagner; Cecilia detta Cecy, contralto ormai preda di amnesie imbarazzanti; Titta, baritono ossessionato dal sesso (che fu); Giulia, soprano e superdiva, avversaria irriducibile di Rudy col quale, in anni lontani, fu sposata per nove ore soltanto.

Li vediamo in una specie di giardino d’inverno delimitato da alte sbarre, tanto da dare l’idea di una gabbia (intuizione di Fabiana Di Marco). Qui i primi tre preparano una serata per celebrare il giorno natale di Giuseppe Verdi e per raccogliere un po’ di fondi a favore della Casa. E poiché li ha raggiunti Giulia, niente di meglio per ricostituire il loro vecchio quartetto e proporre “Bella figlia dell’amore” dal terz’atto del “Rigoletto”. Pensano che con questa esibizione torneranno a sentirsi vivi e amati. Ma Giulia è Giulia. È ancora troppo diva e troppo fuori posto per accettare, ed è ancora troppo in rotta con Rudy e lo sarà fin quasi all’ultimo istante, quando capirà alcune cosette sulla terza età. A quel punto accetterà di cantare e, incredibilmente, si risposerà con l’ex marito. Sulle note di “Bella figlia dell’amore” cantate vistosamente in play-back su voci altrui (ma no, dai), il quartetto si congeda mentre il teatro quasi crolla sotto gli applausi.

L’esito forse è prevedibile, ma fino ad un certo punto, poiché con caratterizzazioni così caricate non sarebbe stato impossibile spingersi oltre il lecito e finire nel burrone. Diventa perciò un ulteriore motivo di plauso notare come i quattro volteggiano sul filo del rasoio e non vanno mai né sotto né sopra le righe. Pambieri mostra nervi d’acciaio nel controllare l’eleganza altera e insieme fragile di Rudy. La Quattrini è impagabile nelle sue smemoratezze e nelle gaffe che inevitabilmente ne derivano. Cochi non cade mai nella grossolanità quando è preda del demone erotico. E Erica Blanc è sempre la gran signora che le sporcature comiche non riescono neppure a scalfire.

Al teatro Gioiello di Torino fino a domenica.

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