Una revisione del segreto pontificio, un chiarimento sui vescovi negligenti, un nuovo dossier su McCarrick con i risultati delle indagini condotte dalla Santa Sede. Importanti novità quelle che si prospettano per i prossimi mesi nel cosiddetto «follow up» del summit sugli abusi in Vaticano, giunto oggi al suo secondo giorno di lavori dedicato al tema della «accountability». 

Ad annunciarle durante il quotidiano briefing nell’Istituto Augustinianum sono stati i membri del comitato organizzatore del vertice: il cardinale Blase Cupich, l’arcivescovo di Malta Charles Scicluna e padre Federico Lombardi. Presente anche il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, che alcuni organi di stampa statunitensi indicavano in «rapporti tesi e formali» con il Papa tanto da essere stato escluso dal team organizzativo del summit.

Il porporato cappuccino appariva invece tranquillo in conferenza stampa nel riferire dell’andamento dei lavori, dicendosi anche «felice» nel vedere che il focus delle riflessioni dei 190 pastori riuniti in Aula Nuova del Sinodo non si è concentrato su indicazioni e «condanne scontate» (per dirla alla Papa Francesco), bensì sulla «sofferenza delle vittime», sul «tradimento inflitto su così tanti bambini e adulti vulnerabili». «Credo che la leadership debba cominciare a capire i danni degli abusi, tutto quello che ha rovinato la vita delle persone» e, da qui, «indicare un piano d’azione», ha affermato O’Malley, ribadendo il concetto di «trasparenza» che «è fondamentale se dobbiamo affrontare il problema, non solo nei diversi Paesi ma anche nella stessa Santa Sede». 

«È chiaro che rivedere tutto il concetto del segreto pontificio è importante», ha affermato il presidente della Commissione per la tutela dei minori. E interpellato dai cronisti - specie quelli americani che continuano ad insistere da giorni sulla questione del nesso abusi-omosessualità - il cardinale ha annunciato che «a breve riceveremo un rapporto della Santa Sede» sulle indagini a carico di Theodore McCarrick, l’arcivescovo di Washington colpevole di pedofilia che Bergoglio ha “spretato” sabato scorso, dopo avergli già tolto la porpora a luglio. «È un momento triste e vergognoso nella storia», ma «le indagini procedono», ha confermato Cupich. «So che Ouellet (il cardinale prefetto della Congregazione dei vescovi, ndr) ha fatto dichiarazioni e scritto lettere che contengono informazioni. Le singole diocesi sono state coinvolte e la Santa Sede è in contatto con loro. Mi è stato detto che ci sarà un rapporto in un futuro non molto lontano». 

A breve arriverà da parte del Vaticano anche un «chiarimento al motu proprio “Come una madre amorevole” per i vescovi negligenti». A confermarlo è sempre O’Malley che spiega che si lavora proprio in questo tempo nei Sacri Palazzi per stilare un documento che - alla luce anche dei risultati del summit - renderebbe più chiare le indicazioni contenute nella lettera papale del giugno 2016 su come agire nei confronti di un vescovo che ha insabbiato o che è stato negligente nei casi di abusi compiuti da sacerdoti della sua diocesi.

Anche Scicluna ha ricordato il motu proprio sottolineando che esso ha «un’azione più ampia ed efficace» di quella di un eventuale “tribunale speciale” che metta sotto inchiesta i vescovi negligenti (la sua istituzione è una richiesta avanzata a più riprese dalle vittime). L’ex pm vaticano, attuale sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha spiegato: «Nel motu proprio, il Papa ha introdotto la fattispecie penale dell’abuso d’ufficio che punta a sanzionare i vescovi negligenti. Il provvedimento del Pontefice è più ampio del tribunale perché il tribunale presuppone un delitto o la violazione della legge; invece “Come una madre amorevole” guarda allo stato oggettivo, all’incapacità di fare bene o alla non volontà di fare bene. Non entra nella questione del dolo, della malizia, che ci vuole per provare un delitto. Invece chi denuncia non deve provare questo ma solo denunciare il fatto oggettivo».

«È lo stesso che si fa nei canoni 1740 e 1741 - ha aggiunto Scicluna - dove si descrivono le cause per le quali il vescovo può rimuovere il parroco, che è un pastore di un gregge, in base allo stato oggettivo di incapacità di governare e essere pastore. Togliere il leader - ha chiarito il presule maltese - non perché sei una cattiva persona ma perché sei incapace, non puoi governare. Non si esclude il momento penale e il motu proprio già apre a questa possibilità quando il Papa chiama una commissione di giuristi e decide cosa fare».

Ancora Scicluna ha risposto ad una domanda sul concetto di “tolleranza zero”, rifiutato da alcuni vescovi - come riferiva nel briefing il prefetto del Dicastero della comunicazione, Paolo Ruffini - che vedono in esso un’accezione troppo «secolare». Per Scicluna il discorso è semplice: «Questo principio non ha niente a che fare con le pene ma con una constatazione prudenziale e di urgenza: non possiamo permettere che nel ministero ci sia chi possa fare male ai giovani. Può anche non piacere il concetto di “tolleranza zero” ma nessuno oserebbe dire se c’è una persona che può fare del male ai giovani lo lascio nel ministero. È un principio già dichiarato da Giovanni Paolo II che deve animare ogni decisione pastorale». 

Pertanto, si possono dimettere chierici dallo stato clericale, condannare vescovi e cardinali ad una vita di silenzio e preghiera, e «la pena può essere anche espiatoria» ma non è questo il punto: «La questione della idoneità al ministero non è primariamente penale», ha detto Scicluna. «Non tolgo la persona dal ministero per punirla ma per proteggere il gregge».

Anche padre Lombardi ha voluto chiarire alcune sfumature sulla “tollerenza zero”: «Ho scritto tre lunghi articoli su La Civiltà Cattolica senza mai usare la parola se non in una nota - ha esordito l’ex portavoce vaticano -. Perché ho difficoltà ad usare o lasciarmi catturare dalla espressione “tolleranza zero”? Perché si riferisce ad una parte limitata della problematica che invece riguarda anche la cura pastorale, la selezione del clero, la prevenzione in parrocchie. Tutto questo nella parola non è compresa».

«“Tolleranza zero” - ha proseguito il gesuita - si riferisce ad un modo di intervenire punitivo: una parte fondamentale ma, appunto, una parte di tutto il problema della protezione dei minori che è molto più grande». Quindi anche una certa «adeguatezza» del vocabolario può aiutare ad affrontare «l’ampiezza e la complessità del problema» abusi. «Poi se per dei colleghi americani e canadesi “tolleranza zero” indica un preciso tipo di provvedimento sono perfettamente d’accordo, ma quando parlo di protezione minori parlo di molte altre cose», ha chiosato Lombardi. 

Infine ancora Scicluna, insieme ad O’Malley e Cupich hanno riferito della rilevanza data in assemblea al tema della «collegialità». «Ogni diocesi ha a capo un vescovo responsabile che al contempo partecipa della responsabilità della Chiesa universale. Nel villaggio globale non possiamo non capire che se succede una cosa comunque coinvolge, tocca anche il resto del mondo», ha sottolineato il cardinale di Boston. Quindi l’errore più grande è di «preoccuparsi solo della propria area».

Guai a pensare «questo è mio, mi riguarda in quanto vescovo», ha fatto eco Cupich, «siamo insieme un collegio di vescovi: quello che succede in una parte della terra riguarda tutti perché tutti dobbiamo aver cura dei figli di Dio». Ciò implica trasparenza, responsabilità, una comunicazione costante, visione ma anche strategia, e soprattutto la «testimonianza di vita chiara senza zone d’ombra». «Si possono fare tutte le leggi possibili - ha concluso l’arcivescovo di Chicago - ma senza un reale senso di responsabilità dei vescovi e delle Conferenze episcopali non arriveremo a nessun risultato».

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