I vescovi dovranno «rendere conto» delle proprie azioni, o non azioni, sul tema abusi. In teoria già sarebbe così, perché dipendono dal Papa, ma al lato pratico la situazione si complica, perché il Pontefice non può realisticamente supervisionare tutto e tutti in tempi ragionevoli. Dunque, alla Chiesa servono organismi intermedi responsabili. A partire magari dal rafforzamento del «metropolita», vescovo che presiede una circoscrizione di più diocesi. E poi coinvolgendo laici esperti. Lo ha affermato il cardinale Blaise Cupich nel secondo giorno del summit vaticano sulla pedofilia. Cupich, arcivescovo di Chicago, è presidente della commissione per la protezione dei minori della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Dunque la sua voce rappresenta un grande paese segnato da vari scandali, come quelli emersi dal «rapporto Pennsylvania» o dall’inchiesta del The Boston Globe, “Il caso Spotlight”.

Tre sono i cardini della sua proposta: «Stabilire degli standard per le indagini dei vescovi; segnalare le accuse; passi procedurali concreti». 

Innanzitutto, le Conferenze episcopali «dovrebbero consultare esperti laici» e fare riferimento al «Metropolita», che per ora non ha quel tipo di giurisdizione. E se fosse lui l’accusato, o se la sede fosse «vacante», il sostituto «potrebbe essere il Metropolita più vicino, o uno della lista creata a priori».

Poi, tutti i meccanismi «per presentare denuncia di abusi nei confronti di un vescovo dovrebbero essere ben noti ai fedeli». Andrebbero creati percorsi di segnalazione indipendenti, come «una linea telefonica dedicata e un servizio di portale web per ricevere e trasmettere le accuse direttamente al Nunzio Apostolico (ambasciatore della Santa Sede, ndr), o al Metropolita». 

Secondo Cupich servono inoltre «norme speciali», tra le quali: la segnalazione di un reato non dovrebbe essere ostacolata dalle regole «di segretezza o riservatezza»; la Conferenza episcopale può «informare i fedeli delle accuse contro il vescovo».

Ieri al briefing è intervenuto, un po’ a sorpresa, anche il cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, risanatore della diocesi messa in ginocchio dal “caso Spotlight”. La sua presenza sul palco vaticano non è passata inosservata, perché correvano voci di un rapporto teso con Bergoglio. Sul controverso tema dell’obbligo di denuncia il Porporato ha sottolineato che «negli Usa ci siamo impegnati a denunciare sempre. Abbiamo 50 Stati e 50 leggi diverse, ma abbiamo anche l'obbligo morale a condividere le nostre informazioni con le autorità civili». «D'altronde - dice O'Malley - la crisi terribile c'è stata perché si è omesso di denunciare i casi di abusi sessuali sui minori da parte del clero».

Walter Robinson, il capo del team Spotlight che portò alla luce gli abusi sui minori e le coperture di cui godettero i sacerdoti, ha commentato all’Adnkronos l’iniziativa del vertice: il Pontefice «vuole affrontare il mostro della pedofilia», sebbene possa essere indotto a esitare «dinanzi alle resistenze di vescovi e cardinali a farsi giudicare dal "mondo secolare”».

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