«Gli abusi sessuali nei confronti di bambini e di giovani sono in non lieve misura dovuti all’abuso di potere nell’ambito dell’amministrazione. A tale riguardo l’amministrazione non ha contribuito ad adempiere la missione della Chiesa ma, al contrario, l’ha oscurata, screditata e resa impossibile. I dossier che avrebbero potuto documentare i terribili atti e indicare il nome dei responsabili sono stati distrutti o nemmeno creati. Invece dei colpevoli, a essere riprese sono state le vittime ed è stato imposto loro il silenzio». Le parole del cardinale di Monaco Reinhard Marx, presidente dei vescovi tedeschi, pronunciate nella sua relazione di questa mattina al terzo giorno del summit in Vaticano, sono risuonate come una bomba. Una prima vera ammissione di colpa da parte della Chiesa per la mala gestione dei casi di pedofilia nel clero.

E la mente è subito andata a vecchi fascicoli rimasti in sospeso i cui scandali sono deflagrati poi dopo anni - da Marcial Maciel dei Legionari di Cristo al più recente McCarrick - oppure a chissà quanti altri casi di cui non si ha ad oggi notizia, magari rimasti chiusi nei cassetti di Dicasteri e Congregazioni della Curia romana. 

Tuttavia sembra che dietro il j’accuse del cardinale, tra i sei porporati consiglieri del Papa nonché coordinatore del Consiglio per l’Economia, non ci fosse la denuncia di mancanze dell’amministrazione vaticana, bensì la constatazione di una grossa lacuna della Chiesa tedesca di cui è capo, emersa da uno studio commissionato dalla stessa Conferenza episcopale. 

In aula, ha detto Marx interpellato a riguardo durante il quotidiano briefing sui lavori del summit all’Augustinianum, «ho riferito ciò che ha riportato lo studio MHG in Germania che noi avevamo richiesto come vescovi. Il quesito che ci siamo posti nel 2014 e che ha portato allo studio era: quali motivazioni sistemiche e quali pericoli sistemici facilitano determinati abusi che non vengano poi riportati? Ci sono infatti pericoli specifici indipendentemente dalla colpa dei criminali. Abbiamo voluto affrontare questo tema scottante in maniera scientifica».

Il rapporto - anonimo - di MHG, pur non riferendo nomi e altri dati sensibili, «ha fatto emergere che nelle singole diocesi (non sono stati inclusi gli ordini religiosi, ndr) determinati atti e documenti sono stati manipolati o non contenevano quanto avrebbero dovuto contenere. Questo è un dato di fatto che non si può negare», ha sottolineato l’arcivescovo di Monaco, «e presumo che la Germania non rappresenti un caso isolato».

Marx ha spiegato inoltre che, proprio per invertire la marcia degli ultimi anni che faceva riferimento a «linee guida che non ritenevano opportuno trattenere determinate informazioni», ha stabilito da anni che «se qualcuno lavora come sacerdote nella nostra diocesi e proviene da un altro Paese, voglio tutta la documentazione personale di tutta l’attività sacerdotale di questa persona. Sembra ovvio ma non è così… Spesso erano i superiori a dire “ma no, è un bravo ragazzo”, ma così non basta. Voglio analizzare tutto».

Insomma un giro di vite all’interno delle diocesi, ma anche delle parrocchie e delle comunità ecclesiastiche. Che poi è uno degli obiettivi da perseguire nel «follow up» del summit vaticano che oggi ha concentrato i lavori sul tema della «trasparenza». A tal proposito Marx ha ammesso anche una mancanza di comunicazione tra la Chiesa e le vittime: «Molte di loro si sentono lasciate sole, magari telefonano ma vengono rimandate da un interno all’altro, non si capisce di chi sia la competenza… Servono nuove linee anche per stabilire a chi rivolgersi». 

Dal summit è emersa infatti la proposta - indicata nell’ultimo dei 21 punti di riflessione distribuiti dal Papa - di «un organismo di facile accesso per le vittime che vogliono denunciare eventuali delitti». Una proposta che attualmente risulta complessa, anche dal punto di vista giuridico, e che richiede necessari accorgimenti sulla sua configurazione (vi dovrebbero partecipare chierici e laici esperti).

Intanto un primo passo in tal senso sarebbe la creazione di uno «sportello di ascolto» in ogni diocesi per permettere alle vittime di procedere alla denuncia senza dover passare per altri “filtri”. A spiegarla nel dettaglio è stato monsignor Charles Scicluna: «È bene che ogni Conferenza episcopale di ogni Paese – ha detto l’arcivescovo di Malta – offra un servizio di ascolto delle vittime, formato da esperti laici che godano della fiducia della gente, dove le persone possano fare una denuncia o condividere una storia pesante che ha bisogno di venire alla luce e di essere condivisa». All’interno dell’iter dei processi canonici, «non c’è un meccanismo d’informazione per le vittime sull’esito dei processi stessi: manca questo tipo di comunicazione», ha confermato l’ex pm vaticano.

Alle sue parole hanno fatto seguito quelle di padre Federico Lombardi, moderatore dell’incontro: «Le Conferenze episcopali – ha detto – devono avere linee guida che devono essere pubbliche e reperibili sui siti ufficiali, dove si deve indicare chiaramente che deve esserci un servizio di ascolto, a chi e dove si devono segnalare i casi» di eventuali abusi. 

Lombardi ha lodato le diocesi di Bolzano e Bergamo che, da questo punto di vista, hanno «una struttura ben delineata» e ha raccomandato alla Cei che ha appena inaugurato un Servizio nazionale per la tutela dei minori: «È bene che sia riconoscibile ovunque. Lo sportello è un punto di partenza fondamentale per la procedura». 

Al banco dei relatori del briefing erano presenti anche il superiore generale dei gesuiti, il venezuelano padre Arturo Sosa, e la suora nigeriana Virginia Openibo, superiora generale della Società del Santo Bambino Gesù, che questa mattina ha pronunciato il suo intervento in assemblea raccogliendo anche il plauso del Papa, il quale sussurrava al vicino padre Lombardi: «È brava questa!».

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