Il suo nome non era mai stato pronunciato - almeno pubblicamente - durante i lavori del summit sugli abusi in Vaticano, oggi concluso. Eppure il caso di Marcial Maciel Degollado, il fondatore messicano dei Legionari di Cristo, autore di violenze carnali e psicologiche su donne e bambini (alcuni suoi figli naturali), abusatore seriale di giovani seminaristi, tossicodipendente, imbrigliato in diverse attività criminali, rimane uno dei più controversi della storia della Chiesa che attraversa gli ultimi sette pontificati e rappresenta l’emblema di quel sistema di coperture e insabbiamenti dalle alte gerarchie ecclesiali che oggi la Chiesa tenta, a fatica, di scardinare.

Il fantasma di questa oscura vicenda - ricostruita nell’ottimo libro della giornalista Franca Giansoldati “Il demonio in Vaticano” (Piemme, 2014) -  è sembrato riaffiorare in diverse occasioni nel corso dei tre giorni del summit. In particolare ieri, quando il cardinale tedesco Reinhard Marx ha parlato di «dossier distrutti» dalla Chiesa su preti pedofili o nel Confessio recitato dal Papa e da tutti i vescovi e cardinali durante la liturgia penitenziale della sera: «Confessiamo che abbiamo protetto dei colpevoli e abbiamo ridotto al silenzio chi ha subito del male», diceva la preghiera.

È stata una donna, Valentina Alazraki, decana dei vaticanisti, superstar della tv messicana Televisa, invitata come relatrice al vertice, a rompere quello che appariva quasi come un tabù, pronunciando dinanzi ai 190 capi della Chiesa il nome di questo «genio del male». «Il caso forse più terribile che sia accaduto all’interno della Chiesa», lo ha definito la giornalista, istituzione della informazione vaticana, con 45 anni di carriera alle spalle e 150 viaggi papali all’attivo. «Sono stata testimone di questo triste caso dall’inizio alla fine. Al di là del giudizio morale sui crimini commessi da quell’uomo, che per alcuni è stato una mente malata e per altri un genio del male, vi assicuro che alla base di quello scandalo, che tanto male ha fatto a migliaia di persone, fino a macchiare la memoria di chi ora è santo (Giovanni Paolo II, ndr), c’è stata una comunicazione malata».

Ma non solo quello ha contribuito a far sì che le denunce contro Maciel rimanessero in sospeso per decenni prima di arrivare al pubblico scandalo e di prendere provvedimenti contro questo sacerdote che non fu mai spretato, ma finì i suoi giorni in una clinica in Florida dopo gli ultimi anni di silenzio e preghiera impostigli da Papa Benedetto XVI considerata l’età avanzata. Dietro, come detto, c’era un sistema di coperture mantenuto con flussi di denaro e amicizie potenti in Curia che partivano dalla Segreteria di Stato, così radicato che ancora oggi c’è chi, a Roma come in Messico, nega l’esistenza stessa del caso Maciel. 

Probabilmente, se non fosse stato per il lavoro minuzioso e paziente di Joseph Ratzinger, prima come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi come Pontefice, lo scandalo avrebbe oggi la forma di un polveroso fascicolo nascosto dentro un armadio. Bergoglio stesso, sull’aereo di ritorno dal viaggio ad Abu Dhabi, aveva raccontato un «aneddoto» sul suo predecessore che «aveva tutte le carte su una organizzazione religiosa che aveva dentro corruzione sessuale ed economica. Lui provava a parlarne e c’erano dei filtri, non poteva arrivare».

Un riferimento, come apparso chiaro a molti, alla vicenda Maciel. Una vicenda che ancora è ben lungi dall’essersi conclusa, afferma Alberto Athie, ex sacerdote di Città del Messico, uno dei primi a puntare il dito decenni fa contro il fondatore dei Legionari, «cacciato via» dalla sua diocesi proprio per quest’opera di denuncia. Così deluso dalla omertà e dalle mancate risposte della Chiesa ha deciso di abbandonare dopo vent’anni il sacerdozio nel 2002. Oggi è un attivista dei diritti umani e milita insieme all’associazione ECA (Ending of Clergy Abuse) che riunisce vittime di tutti i Paesi del mondo. Con loro è a Roma per seguire il vertice, mercoledì scorso ha partecipato anche all’incontro tra le vittime e il comitato organizzatore del summit. 

Il Vaticano che vede oggi appare ad Athie un po’ «diverso» rispetto a quello di decenni fa, nel senso che «dopo anni di silenzi e silenziamenti» adesso l’obiettivo sembra davvero quello della trasparenza. Tuttavia alcuni nodi sono ancora da sciogliere: «Va ricostruito il passato», spiega a Vatican Insider, «va ricostruita la storia, a cominciare dal fatto che le prime denunce contro Maciel arrivarono già sotto il pontificato di Pio XII… D’altronde lo aveva detto anche il cardinale Braz De Aviz, no? La Santa Sede sapeva da 63 anni».

Nel 1956 l’allora arcivescovo di Città del Messico, Miguel Darío Miranda, e un altro vescovo di una diocesi vicina avevano inviato lettere a Roma in cui riportavano accuse di cattiva condotta da parte di uno dei segretari della Congregazioni. Intanto, oltre che dal Messico, giungevano voci simili anche dal sud degli Stati Uniti e dal Spagna. Su Maciel sembra che già allora fosse stata aperta un’indagine e che avesse ricevuto una sospensione, afferma Alberto Athie, revocata però alla morte di Pio XII. Con l’elezione di Giovanni XXIII il fondatore dei Legionari aveva ripristinato il suo ruolo. «Come si è aperta l’inchiesta contro Maciel? Chi l’ha aperta? Chi l’ha fatto rientrare? Come? Con la morte del Papa si sospendono ogni attività fino alla prossima elezione, invece proprio in quel momento è ritornato, com’è stato possibile?», si domanda Athie. E dice: «C’è tutta una documentazione su questo conservata qui a Roma, ma è da capire come è stata maneggiata».

«Io - racconta - fui tra i primi a trovare uno dei casi di abusi da parte del fondatore dei Legionari, grazie ad una vittima, un seminarista di nome Juan Manuel Fernandez, che mi raccontò cosa accadeva all’interno della Congregazione. Ad esempio il fatto che Maciel costringeva i seminaristi ad accompagnarlo in infermeria e, accusando dolori allo stomaco, pretendeva massaggi al ventre che poi si spostavano alle parti intime fino a divenire masturbazione. Faceva pressioni psicologiche, metteva in atto strategie di isolamento di questi ragazzi, diceva loro “non devi parlare, non devi dire nulla contro il tuo superiore”. Nei Legionari esiste infatti un quarto voto di segretezza per cui se qualcuno notava cose negative da parte del superiore non poteva neppure commentarlo, figuriamoci criticarlo. Questa vittima era in ospedale e attraversava un brutto momento, mi disse: “Non voglio morire portando con me questo segreto, voglio giustizia!”. Io lo invitai a perdonare il suo aggressore ma gli promisi: “ti accompagno nella ricerca della giustizia”. Perché all’epoca credevo che fosse possibile trovare giustizia all’interno della Chiesa».

Invece quello che Athie si è trovato davanti è stato un muro di gomma: «Uno dei pochi che rispose alle mie richieste fu Ratzinger con una lettera in cui mi disse, tra l’altro, che Maciel era molto apprezzato qui a Roma, anche dallo stesso Papa. Aveva molti amici a cominciare dal cardinale Sodano e da altri cardinali a cui regalava soldi. Aveva però anche molti nemici…». 

Per anni, tuttavia, la scelta della Chiesa «come istituzione» fu quella di «fare silenzio e di silenziare». «Molte vittime, oltre a quelle di cui già conosciamo le storie, furono interrogate. Dove sono queste testimonianze?», domanda Alberto. La sua speranza è che con questo summit voluto da Bergoglio si prenda coscienza di questo «problema globale» che è la pedofilia e gli abusi del clero e che si cerchino «nuove soluzioni rispetto a quelle di prima». Guardare al futuro, tuttavia, non impedisce di riscrivere il passato: «Bisogna valutare per capire dove sono stati gli sbagli, dove sono stati fatti danni e finire questa politica che ha permesso la violazione dei bambini, nei quali è presente Gesù Cristo come sacramento».

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